INDICE DEL VOLUME e AMPIA BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

                                                          
-           Presentazione
-           Introduzione                                                                                      
1.         La cultura del restauro                                                                               
1.1       La nascita del restauro: evoluzione del concetto di intervento sul costruito storico.
1.2       Le impostazioni teoriche Italia: le attuali tendenze del restauro
1.3       L'istanza culturale diviene messaggio tecnico: manuali, carte del restauro, codici di pratica, linee guida internazionali.
2.         L'approccio operativo: aspetti tecnico-metodologici                                
2.1       Indagini preliminari: metodi e finalità
2.1.1        Edificio storico come documento di storia non solo materiale
2.1.2        Ricerca storica
2.1.3        Duplice finalità del rilievo
2.1.4        Rilievo come fase progettuale: il sito, il manufatto, la tecnologia, la struttura e il degrado
2.1.5        Sondaggi
2.1              Criteri progettuali nel recupero e nel restauro architettonico.
2.2              Aspetti strutturale: valutazioni quantitative della stabilità e dei rischi.
2.2.1        La modellazione matematica: utilità e limiti
2.2.2        Valutazione e quantificazione degli eventi potenzialmente dannosi
2.3              Aspetti architettonici: riconoscere l'identità per valorizzare.
2.3.1   Ricerca dell'identità
2.3.2   Valorizzazione delle peculiarità
3.         Gli interventi: aspetti applicativi                                                               
3.1             Fondazioni
3.2             Struttura muraria
3.2.1 Interventi di consolidamento più compatibili
3.2.2 Interventi di consolidamento meno compatibili
3.3             Archi e piattabande
3.4             Volte e cupole
3.5             Coperture
3.6             Tramezzi
3.7             Solai e tetti su struttura in legno
3.8             Scale
3.9              Infissi
3.10         Pavimentazioni
3.11         Intonaci
3.12         Impianti
3.13         Umidità
4.         L'intervento in contesti archeologici                                             
4.1       Considerazioni generali
4.2       Tecnologie analoghe a quelle originali
4.2.1              Malte
4.2.2              Murature
4.2.3              Legno
4.2.4              Cocciopesto
4.3       Tecnologie di origine ‘premoderna’ (XVIII-XIX sec.)
4.3.1        Anastilosi e reintegrazioni
4.3.2        Speroni
4.3.3        Incatenamenti
4.3.4        Elementi complementari in acciaio
4.3.5    Coperture di protezione
4.4       Tecnologie contemporanee
4.3.1            Cemento e cemento armato
4.3.2            Vetro in lastre e pannelli trasparenti
4.3.3            Acciaio inossidabile
4.3.4            Titanio
4.3.5            Legno lamellare
4.3.6            Materiali compositi

5.         Esempi dal vivo :  interventi di recupero di edifici storici.
5.1       Restauro urbano e adeguamenti normativi: il caso di Palazzo Pietromarchi a Marciano (PG)                                                                                                 
5.2       Accumulo del danno e recupero delle riserve di stabilità: esemplarità del restauro strutturale della Chiesa di S.Francesco a  Nocera Umbra (PG)    
5.3       La delicatezza dei beni cosiddetti 'minori': Le Rocchette
                        di Todi  (PG)                    
5.4       Gli incatenamenti: presidio reversibile. Gli interrogativi posti dal Ninfeo Repubblicano a Villa Adriana - Tivoli (RM)                                                                
5.5       Restauro strutturale "per aggiunta". La Casina degli Architetti a Villa Adriana - Tivoli (RM)                                                                
5.6       Recupero materiale e di immagine  di un antico crollo. Il Voltone presso lo Stadio a Villa Adriana - Tivoli (RM)                                                             

-     Bibliografia           





                        
BIBLIOGRAFIA DEL LIBRO
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BIBLIOGRAFIA RAGIONATA SU ARGOMENTI DI RESTAURO

La seguente selezione bibliografica ragionata è tratta da: Giovanni Manieri Elia, Interventi di restauro sul patrimonio archeologico romano: tecnologie e metodologie, Roma 2003, tesi di dottorato svolta presso l'Università “La Sapienza” di Roma, Facoltà di Architettura. Ovviamente è tutt’altro che esaustiva ma rappresentativa di un ampio panorama bibliografico.

I testi sono stati suddivisi per comodità in tre gruppi: il primo comprende quelli le cui argomentazioni sono relative a problematiche riguardanti il restauro in generale; il secondo prende in esame i testi e gli articoli riguardanti le tematiche di archeologia e del restauro archeologico;  il terzo gruppo raccoglie testi che illustrano monumenti archeologici specifici e loro restauri.

I vari testi, all’interno di ogni raggruppamento, sono esposti in ordine cronologico. Per gli Atti dei Convegni la data considerata è quella del Convegno, non quella della pubblicazione.



Restauro architettonico

Il volume di Giovanni Carbonara (a cura di), Restauro e cemento in architettura, AITEC, Roma 1981, offre una ampio panorama delle tecniche di restauro basate sull’uso del cemento armato con l’illustrazione di 95 interventi descritti analiticamente e con l’aiuto di numerose foto in bianco e nero di lavorazioni in cantiere. Sono, inoltre, elencati circa 300 interventi di restauri effettuati in Italia con il cemento armato sotto forma di brevi schede. L’opera rivela un certo entusiasmo, peraltro abbastanza diffuso in quel periodo, per le possibilità del materiale in questione. Nell’introduzione (del curatore) si mette, però, in guardia sugli esiti non positivi di interventi “statico conservativi di tipo ricorrente e ripetitivi” eseguiti senza “impegno storico-critico”, dovuti spesso alla separazione disciplinare esistente tra i diversi operatori del settore.
Di qualche anno dopo il secondo volume, Giovanni Carbonara (a cura di), Restauro e cemento in architettura 2, AITEC, Roma 1984, prosegue l’opera aggiornando il repertorio di interventi con altre 28 schede analitiche ed affronta diffusamente la questione dell’uso del cemento armato negli interventi di restauro da un punto di vista teorico, riportando testi sull’argomento di vari autori con impostazioni culturali anche molto diverse tra loro.
Il taglio più critico del testo risente di una impostazione culturale che comincia a cambiare. Il volume è corredato da numerose fotografie in bianco e nero ed alcune a colori di interventi eseguiti o in fase dei esecuzione. In esso vi è contenuto il testo di Antonino Giuffrè,   Pietà per i monumenti, pp. 120-122; l’articolo costituisce un grido d’allarme per i monumenti sui quali si interviene spesso senza comprenderne il linguaggio e la statica originaria.
Vengono sollevati alcuni problemi fondamentali allo scopo di fornire precise direttrici di ricerca:
-          metodologie di rilievo che non pongono sufficiente attenzione all’organismo statico e costruttivo;
-          studi storici che non prestano la dovuta cura alla storia delle tecniche costruttive;
-          tipi di analisi numeriche che non sono ancora in grado di definire con accettabile approssimazione il comportamento delle murature antiche.
L’autore differenzia, infine, il modo d’intervenire sui monumenti quando questi devono essere riadattati ad un nuovo uso e quando si deve ‘solo’ migliorarne la stabilità. In ogni caso “la statica dei monumenti è sacra come i colori del Cenacolo, ed il restaurarla richiede il rispetto religioso di chi ha come interlocutore la Storia”.
In tre argomenti principali si articola il contributo di Giorgio Croci, Cultura e scienza nella scelta delle tecniche di restauro strutturale, in: AA.VV., Problemi storici, tecnici e normativi per la conservazione dei centri urbani in zona sismica, atti della giornata dedicata alla protezione dei beni architettonici di Roma, 29 settembre 1987, Roma 1988, pp. 45 – 76. Il primo tema riguarda la cultura, l’organizzazione dello studio e gli aspetti imprenditoriali legati all’aumento di interesse nei confronti delle “vecchie costruzioni”  e all’impulso che i lavori di restauro hanno avuto negli ultimi decenni. A fronte di ciò, in questo campo, si è risentita la mancanza di una metodologia scientifica codificata che desse un nesso logico e razionale agli interventi, probabilmente perché la Scienza delle Costruzioni è rimasta, per lungo tempo, estranea alle costruzioni in muratura.
Il secondo argomento concerne, invece, la valutazione della sicurezza e le decisioni d’intervento che vanno assunte in base a considerazioni di carattere storico-critico e di carattere quantitativo.
Il terzo, infine, prende in esame le tecnologie “nuove” che, pur necessarie al restauro, per il loro cattivo uso e per aver sostituito arbitrariamente quelle tradizionali, anche nei casi in cui esse sarebbero state più opportune, ha dato inizio ad un processo di ripensamento nei confronti delle pratiche moderne e di rivalutazione di quelle antiche.
Da varie angolazioni è analizzato lo stesso problema nella raccolta di saggi curata da Antonino Giuffrè (a cura di), Monumenti e terremoti; aspetti statici del restauro, Multigrafica, Roma 1988. In essa si analizza la questione del rapporto tra il restauro dei monumenti e la loro vulnerabilità sismica attraverso un’analisi della normativa, dei metodi di verifica numerica, delle tecniche d’intervento.
In campo archeologico vengono prese in esame le colonne coclidi di Roma (gli effetti dei sismi su di esse, come si è intervenuti per ripararne i danni), le murature del Colosseo, nonché la Domus Tiberiana (testo contenuto negli atti del Convegno di Bressanone  del 23 giugno 1987).
Dalla lettura del testo archeologico (il monumento) si fanno ipotesi sulle cognizioni strutturali degli antichi costruttori, sul loro modo di edificare, ma anche sul loro modo di pensare e, in definitiva, sulla loro identità culturale.
Una problematica specifica viene analizzata da Stefano Gizzi, L’uso dei nuovi materiali nel ‘restauro dei monumenti’: problemi ed errori ‘tecnici’ e ‘Carte del Restauro’, in: AA.VV., Conoscere per intervenire: il consolidamento degli edifici storici, atti del III Congresso Nazionale ASS.I.R.CO di Catania, 10-12 novembre 1988, Roma 1988, pp. 103-113. Dopo una breve premessa in cui viene illustrata l’attuale inversione di tendenza rispetto all’atteggiamento generalizzato circa l’uso di tecniche moderne nel restauro dei monumenti, si passa ad un’analisi storica degli interventi, e si segnalano le ‘perplessità’, già espresse nel secolo scorso riguardo all’accostamento, nel restauro, dei ‘nuovi’ materiali quelli tradizionali. In seguito si ripercorrono le varie posizioni del XX° secolo in rapporto alle Carte del Restauro  (Atene, Venezia); si esaminano le influenze reciproche tra criteri e modi di intervento.
Infine vengono segnalati alcuni restauri di consolidamento rivelatisi ‘errati’ tra cui quello del Partenone del Balanos, quello dell’Arco di Costantino e quello di Selinunte. In conclusione viene posta la questione della compatibilità e della reversibilità di tali interventi.
Nello stesso volume il contributo di Franco Laner e Gianfranco Brusati, La concezione strutturale originaria come ispiratrice del progetto di recupero, pp. 253-262, fa notare come in passato non esisteva una separazione tra architettura ed ingegneria e l’edificio veniva concepito come una sintesi unitaria di forma e struttura. E’ quindi, secondo questo stesso modo di operare che l’intervento di recupero, secondo gli autori, deve essere affrontato, basandosi su un rapporto di reciproca interazione e condizionamento per ritornare all’unità di progetto.
L’intervento deve essere teso sia alla restituzione della ‘pelle’ dell’edificio sia, anche, all’esplicitazione dell’idea strutturale che lo ha generato.
E’ pertanto necessario avvicinarsi all’oggetto rinunciando alle categorie e agli strumenti propri dell’attuale Scienza delle Costruzioni. La comprensione della concezione strutturale dell’edificio guiderà allora i motivi conduttori del progetto  di recupero, e quindi potrà essere esplicitata sia con la conferma della regola sia superando, col progetto, tale regola.
Vengono, inoltre, illustrati alcuni esempi concreti come l’Arsenale di Venezia o la Chiesa dei Gesuiti a Cordoba in Argentina.
Il lungo intervento di Giorgio Croci, Cultura, scienza e tecnica nel restauro strutturale, in: Maria Giuseppina Gimma (a cura di), Interventi post-sismici sul patrimonio storico-architettonico, atti del convegno di Roma, 23-24 novembre 1989, Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, Beta Gamma, Roma 1991, pp.200-216, mette in evidenza l’importanza di una completa analisi e ricognizione del monumento prima dell’intervento. Queste devono essere effettuate prendendo in considerazione i tre seguenti criteri senza tralasciarne nessuno: il criterio storico-critico che evidenzia il comportamento e le trasformazioni del monumento nel tempo, il criterio empirico-qualitativo che in base all’esperienza ed alla conoscenza di altri monumenti ed alla consapevolezza del ben costruire ci fornisce dati importanti sull’edificio ed il criterio analitico-quantitativo che, guidato dagli altri due criteri, può indicarci i punti critici del sistema resistente dell’organismo architettonico in esame.
Si può arrivare così alla scelta dell’intervento da effettuare che deve essere ben calibrato e può ricorrere anche a tecniche innovative se queste dovessero risultare le più idonee a raggiungere lo scopo ovvero la stabilità con il margine di sicurezza voluto.
Il Comitato Nazionale per la Prevenzione del Patrimonio Culturale dal Rischio Sismico, per fare chiarezza su temi molto dibattuti ha redatto un documento: Indirizzi, raccomandazioni, direttive, in: Maria Giuseppina Gimma (a cura di), Interventi post-sismici sul patrimonio storico-architettonico, atti del convegno di Roma, 23-24 novembre 1989, Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, Beta Gamma, Roma 1991. Esso prende le mosse dalla constatazione dei notevoli danni causati dai sismi degli anni ’70 e ’80 dovuti alla carenza di manutenzione dei monumenti ma anche agli errati interventi di recupero in seguito agli eventi tellurici.
Vengono focalizzati tre momenti fondamentali: la prevenzione mediante l’analisi della vulnerabilità, la manutenzione e il miglioramento statico. Viene, inoltre, sottolineata l’importanza della redazione di piani d’emergenza che definiscano le procedure in caso di calamità subito dopo il verificarsi dell’evento. Sono inoltre fornite indicazioni dettagliate e puntuali per il recupero (riabilitazione e ricostruzione) di edifici storici, effettuato con metodologie d’intervento corrette e compatibili.
Antonino Giuffrè, torna a sottolineare la validità delle concezioni edilizie storiche  nel testo particolarmente discorsivo: Efficacia delle tecnologie storiche in zona sismica, in: Maria Giuseppina Gimma (a cura di), Interventi post-sismici sul patrimonio storico-architettonico, atti del convegno di Roma, 23-24 novembre 1989, Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, Beta Gamma, Roma 1991, pp. 83-92. In esso si definiscono quattro punti fondamentali:
-          le tipologie strutturali storiche, se realizzate a regola d’arte, presentano un’intrinseca resistenza al sisma;
-          il soddisfacimento di una costruzione antica ai requisiti della regola d’arte corrisponde alle verifiche di stabilità con il calcolo delle strutture per un edificio moderno;
-          le difformità dalla regola d’arte suggeriscono gli interventi di rinforzo che vanno a colmare tali lacune;
-          nel caso di strutture intrinsecamente insoddisfacenti, si può intervenire all’interno di una logica muraria più vasta del campione in esame, apportando miglioramenti coerenti con il linguaggio originale.
Di riuso delle tecniche tradizionali parla anche Paolo Marconi nel contributo, Il recupero delle tecniche ed i manuali del recupero, in: Maria Giuseppina Gimma (a cura di), Interventi post-sismici sul patrimonio storico-architettonico, atti del convegno di Roma, 23-24 novembre 1989, Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, Beta Gamma, Roma 1991, pp. 93-99. In esso, con l’illustrazione di alcuni esempi si mette in evidenza l’efficacia dei Manuali del recupero che, illustrando con accurati dettagli la tecnologia tradizionale, consentono la loro perpetrazione nel tempo.
Secondo un’angolazione specificamente scientifico-matematica è il piccolo libro di Antonino Giuffrè, Meccanica delle Murature Storiche, Roma 1990. In esso si illustra come dall’osservazione diretta dei manufatti e dalla rilettura dei testi storici si è cercato di individuare gli aspetti statici fondamentali della struttura muraria storica tali da poter essere controllati con rigore scientifico.
In quest’ottica viene esaminato, tra gli altri, il comportamento dell’opus quadratum, le sue modalità costruttive e l’influenza di queste sul comportamento statico globale.
Riflettendo sulla vulnerabilità e sui fattori di danno nella conservazione dei siti archeologici
Salvatore D’Agostino nel testo Il contributo dell’ingegneria strutturale alla conservazione dei siti archeologici, in: “Restauro”, anno 19, n. 110, 1990, pp.40-57, mette in evidenza la necessità di una ridefinizione del ruolo dell’ingegneria. Quest’ultima, nella consapevolezza di una cultura interdisciplinare, deve porre la storia come fattore catalizzante in quanto ci si è resi conto che alcuni approcci, sia metodologici, sia normativi, nati nell’ambito della cultura edilizia contemporanea, sono dissonanti rispetto alla storia ed alla cultura materiale dell’antico operare. Si è giunti cioè alla convinzione che sia opportuno intervenire secondo un approccio culturale e progettuale che rispetti il costruito nella sua storia materiale.
Di taglio molto diverso rispetto ai testi analizzati fin’ora è il manuale di Carmen Piccirilli e di Paolo Rocchi, Manuale del consolidamento, DEI, Roma 1991. Esso consiste in un’esposizione sinottica chiara e dettagliata di operazioni di consolidamento strutturale tuttora, ancora, largamente in uso per interventi di recupero di edilizia esistente. Sono riportati disegni, descrizioni e classificazione di numerosi tipi di intervento la cui analisi evidenzia come la gran parte di essi risultino, sulla base dei criteri di reversibilità, compatibilità chimico-meccanica-strutturale, garanzia di lunga durata ecc. non adatti al consolidamento archeologico.
Edoardo Benvenuto e Salvatore D’Agostino nel testo La ricerca di una continuità perduta nella scienza del costruire, in: Maria Margarita Segarra Lagunes (a cura di), Manutenzione e recupero nella città storica, atti del I Convegno Nazionale, Roma, 27-28 aprile 1993, Associazione per il recupero del costruito (ARCo), Gangemi, Roma 1993, pp. 15-30, mettono in evidenza tutte le incongruenze che scaturiscono dall’operare su edilizia storica in modo acritico ed utilizzando tecnologie costruttive di uso corrente. Pongono in evidenza, inoltre, la necessità di riacquisire una coscienza storica in campo strutturale, allo scopo di ritrovare una continuità perduta. Ciò può avvenire avendo una strategia di ricerca che ponga al centro dell’interesse scientifico la storia materiale del patrimonio costruito.
Affronta numerose problematiche relative al degrado ed alla conservazione di centri storici, e, più in particolare, di edifici, murature e superfici lapidee la raccolta di atti realizzata da Grigore Arbore Popescu, Gianfranco Della Porta (a cura di), Dalla morfologia del degrado alla morfologia della conservazione, atti del convegno di Venezia 5-7 aprile 1993, CNR, Roma 1994,  dove particolare attenzione è rivolta alla città di Venezia. In essi è contenuto il testo di Antonono Giuffrè, Criteri di intervento strutturale per la conservazione della città storica. L’articolo analizza le caratteristiche morfologiche e meccaniche della muratura storica,  indicando metodologie d’intervento che ne preservino il carattere senza stravolgerne l’aspetto formale ma anche conservandone il comportamento strutturale. L’autore arriva, così, all’illustrazione dei codici di pratica, considerati come un efficace strumento per intervenire  sul costruito esistente in modo ‘corretto’.
Il documento dell’ ICOMOS, The Venice chart: 1964-1994 - La Charte de Venise: 1964-1994, Paris, in: “ICOMOS Scientific Journal - Journal scientifique”, n. 4, 1994, elaborato in occasione del II° congresso Internazionale degli Architetti e dei Tecnici dei Monumenti Storici, fissa alcuni punti fondamentali nella prassi del restauro architettonico e, in generale, della conservazione dei monumenti.
In particolare pone l’accento sull’importanza della manutenzione, della destinazione d’uso compatibile, del contesto storico dal quale il monumento non può considerarsi disgiungibile. Viene posto inoltre, alla base del restauro, il rispetto della sostanza antica, concetto attualmente molto dibattuto.
Il testo apre alla possibilità dell’uso di tecniche innovative, laddove le tecniche tradizionali risultino inadeguate. E ciò ha, purtroppo, favorito anche oltre le intenzioni degli estensori del testo, il diffondersi e l’applicazione di materiali ‘nuovi’ e non sempre compatibili, come il cemento armato e le resine.
Esso invita, comunque, alla conservazione delle stratificazioni di tutte le epoche storiche, ribadendo che scopo del restauro non è l’unità stilistica ma la conservazione di tutte le testimonianze del passato.
Il problema degli effetti dell’inquinamento sulla conservazione dei monumenti viene esaminato da Elio Scarano, Marisa Laurenzi Tabasso, S. Alessandro Curuni, Stefano D'Avino, Livio De Santoli, Sandro Ranellucci, Marcello Salvatori nel testo  Monumenti e inquinamento, atti della giornata di studio, Pescara, 5 aprile 1995, Facoltà di Architettura di Pescara, Università degli studi "G. D'Annunzio" di Chieti, Fratelli Palombi, Roma 1997. Ogni autore analizza la questione da un’angolatura diversa: le tecniche di analisi dell’inquinamento atmosferico, lo studio dei suoi effetti di degrado, l’impatto di esso sui colori e le patine, i metodi di difesa più idonei, la realizzazione di strutture protettive.
Salvatore Di Pasquale, nel testo L’arte del costruire, Marsilio, Venezia 1996, affronta il rapporto tra prassi di cantiere e fondamenti teorico-scientifici che sottendono le realizzazioni architettoniche.
Attraverso l’indagine diretta, sui manufatti, e documentale, sui testi, riferite a realizzazioni del mondo antico e di oggi, l’autore verifica come nel passato l’arte del costruire era basata sull’esperienza dell’individuazione degli effetti piuttosto che sulla scienza delle cause. Il testo costituisce una Storia delle tecniche costruttive e delle cognizioni di Statica, come Storia dei processi intuitivi rivelatisi validi nel tempo, al punto da gettare le basi per la moderna sistematizzazione  scientifica.
Imponente è l’opera curata da Giovanni Carbonara, Restauro architettonico, Utet, Roma-Bari 1996. Composta da cinque volumi per un totale di 2.600 pagine, affronta tutte le problematiche relative al restauro in modo eccezionalmente esaustivo. Dagli aspetti teorico-metodologici e storici passa ai materiali, alle strutture, alle cause e ai rimedi del degrado. In essa si analizzano gli aspetti del rilievo, dei saggi e della diagnostica. Si passa poi alle opere provvisionali, ai vari tipi di intervento, sia strutturale, sia riguardante le superfici. Sono anche affrontati i problemi di cantiere, quelli finanziari, contabili e legislativi.
Il restauro archeologico è affrontato in modo specifico ma non diffusamente. Non mancano, tuttavia, numerose considerazioni teoriche su problematiche applicative ed esempi concreti.
Un aspetto molto specifico, quello cioè del degrado biologico in un ambito molto lontano dal nostro, è trattato da A.K. Bahadur, Biodeterioration and its control in open-air historical monuments, in: “Conservation of cultural property in India”, Vol. 30, 1997, pp. 175-181. Nella parte introduttiva vengono evidenziati i vari agenti biologici che possono determinare il degrado dei monumenti storici e i loro effetti. Vengono poi esposti i metodi di trattamento per prevenire o curare l’insorgenza di organismi biologici di degrado su grandi superfici in pietra, in laterizio o intonacate di strutture storiche esposte agli agenti atmosferici. I dettagli forniti nel testo riguardo ai metodi di trattamento derivano dall’esperienza pratica, nel campo della conservazione, condotta dal settore chimico della Soprintendenza archeologica Indiana.
Claudio Galli nel testo ricco di foto e di disegni in bianco e nero Tecnologia e progetto nel recupero, Kappa, Roma 1997, affronta in modo diffuso i problemi inerenti gli aspetti tecnico scientifici del recupero edilizio nella sua storia.
Analizza, dunque, i trattati del passato cogliendo i cambiamenti culturali e metodologici riguardanti la complessa realtà dell’intervento sul costruito, provando a sistematizzare le attuali teorie e a disegnare un quadro di riferimento culturale e di metodiche operative.
Un approccio problematico alla questione delle lacune è illustrato da Stefano Gizzi nell’articolo Può la lacuna avere una propria dignità di esistere? (Quando la lacuna non deve essere reintegrata) in: Lacune in architettura: aspetti teorici ed operativi, atti del convegno di studi, Bressanone, 1-4 luglio 1997, Arcadia Ricerche, Marghera 1997, pp. 41 - 58. Con una ricca casistica di esempi viene affrontato il tema della lacuna e le varie possibilità di intervento su di essa: interventi di reintegrazione mimetici, di reintegrazione differenziata, di reintegrazione suggerita mediante espedienti formali, di reintegrazione creativa con linguaggi diversi dall’originale. Infine, la non reintegrazione che nel restauro archeologico può avere piena dignità fino ad essere, non di rado, la scelta più opportuna.
Sullo stesso tema sono gli Atti del seminario di studi, Paestum, 11-12 aprile 1997, organizzato dall’Associazione per il recupero del costruito (ARCO) e curati da Maria Margarita Segarra Lagunes, La reintegrazione nel restauro dell'antico: protezione del patrimonio dal rischio sismico, Roma. Gangemi, Roma 1997. In essi vengono descritte in modo analitico le diverse modalità con cui si affronta il problema della lacuna nel restauro dei monumenti antichi. Numerose sono le tecniche illustrate così come gli esempi in ambito italiano e internazionale: dalla ricostruzione all’identique fino alla non ricostruzione materiale, ‘suggerendo’ la geometria delle parti mancanti. Nel testo vengono trattati gli aspetti che riguardano le reintegrazioni da un punto di vista storico, di metodo, di linguaggio architettonico e strutturale.
L’articolo di Roberto Nardi, Going public: a new approach to conservation education, in: “Museum international”, n. 201, 1999, pp. 44-50, affronta un tema piuttosto nuovo ed interessante: portare il cantiere di restauro davanti agli occhi dei visitatori. E’ un costume recente, favorito in un sempre maggior numero  di  musei e   monumenti.  Il breve articolo descrive un programma ambizioso, previsto per alcuni lavori di restauro al Colosseo, evidenziando come la partecipazione del pubblico, come osservatore, ai lavori di restauro costituisca un’occasione di stimolo per la conoscenza del patrimonio culturale e un’educazione all’importanza della sua conservazione.




Archeologia e restauro archeologico

Opera imponente e fondamentale è quella di Giuseppe Lugli, La tecnica edilizia romana, Giovanni Bardi, Roma 1967, in due volumi: il primo di 743 pagine contiene il testo nella cui introduzione si suggerisce in modo critico un’ampia bibliografia, si puntualizza sui metodi della ricerca seguiti, sulle tecniche di datazione dei monumenti romani e sulla terminologia degli antichi sistemi costruttivi. Si analizzano poi diffusamente ed in dettaglio, con molti esempi, i materiali, le tecniche e le strutture dell’architettura romana. Le immagini, soprattutto foto in b/n, sono raccolte nel secondo volume costituito da 220 tavole ciascuna contenente diverse immagini ed un testo illustrativo ad esse relativo.
Ben più recente è il testo di Roberto Marta, Architettura romana. Tecniche costruttive e forme architettoniche del mondo romano, Kappa, Roma 1985; il testo, in doppia lingua (italiano ed inglese), classifica la produzione edilizia romana in base alle forme architettoniche ed agli elementi costruttivi fornendo in tal modo un quadro sintetico generale di orientamento e quindi una presentazione chiara ed efficace, sia pur semplificata, di una civiltà architettonicamente così ricca e complessa.
Di Stefano Gizzi è il contributo Recupero delle tecniche e delle tecnologie tradizionali nel restauro dei monumenti in area sismica, in: Maria Giuseppina Gimma (a cura di), Interventi post-sismici sul patrimonio storico-architettonico, atti del convegno di Roma, 23-24 novembre 1989, Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, Beta Gamma, Roma 1991. In esso si illustra innanzitutto la storia dell’uso di tecniche tradizionali nel restauro dei monumenti dall’800 in poi e si arriva a definire, con alcuni esempi, l’ambito di applicazione di tecniche innovative soprattutto basate sull’uso del cemento armato nei monumenti antichi, illustrandone gli effetti negativi e arrivando, infine, alla fase attuale, in cui si delinea un recupero delle tecnologie tradizionali di consolidamento. L’escursus è corredato da numerose citazioni di documenti in merito alle varie impostazioni teoriche.
Più generale sulla conservazione archeologica è l’opera di Marie C. Berducou (a cura di), La conservation en archéologie. Méthode et pratique de la conservation – restauration des vestiges archéologique, Masson, Parigi-Milano-Barcellona-Città del Messico 1990.
Completa e dettagliata affronta diffusamente le principali tematiche in archeologia che riguardano sia l’oggettistica che i beni immobili. Si analizzano, in particolare, le problematiche riguardanti le ceramiche, il vetro, i metalli, i materiali organici ma anche i mosaici e le pitture. Per quanto concerne le architetture viene tracciata una breve storia della conservazione del patrimonio monumentale, vengono illustrati i principali agenti di degrado e le relative misure di protezione nonché strategie di musealizzazione (pp. 331-366).
L’archeologo Fulvio Cairoli Giuliani, nell’interessante testo L’edilizia nell’antichità, la Nuova Italia Scientifica, Roma 1990, prende in considerazione gli aspetti tecnologico-costruttivi-strutturali dell’architettura di Roma antica. Sono descritte in dettaglio, da questo punto di vista,  le tecniche riguardanti le fondazioni, le murature, gli archi, le volte, nonché le strutture complesse come gli acquedotti o i porti. Sono inoltre illustrati i materiali da costruzione, lapidei,  laterizi, lignei e le malte.
Nell’opera, dunque, l’autore abbandona la tradizionale tendenza descrittivo-filologica dell’archeologo in favore di un atteggiamento attento agli aspetti legati alla consistenza materiale-costruttiva dei manufatti. Tale punto di vista viene ad essere particolarmente vantaggiosa per chi si trova ad intervenire sui monumenti antichi per il loro restauro e la loro conservazione.
L’articolo di Roberto Dudor Ruiz Salces, Criterios metodologicos en la restauracion de bienes culturales de epoca romana en España in: “Semanas de estudios romanos”, Vol. 6, 1991, p. 219-226, fa un quadro dei criteri e della metodologia seguita in Spagna per il restauro dei beni architettonici di epoca romana. Sono illustrati i punti di vista delle diverse scuole d’ambito europeo, con le opinioni che sono andate sviluppandosi dalla metà del XIX° secolo in poi, con ripercussioni sulle normative relative alla tutela del patrimonio architettonico. Infine vengono definiti alcuni punti metodologici multidisciplinari e si forniscono alcuni esempi positivi di studi ed interventi realizzati nella Penisola Iberica.
E’ a cura di Stefano Gizzi la raccolta di testi, Analisi storica e comportamentale di sistemi di consolidamento tradizionali in muratura nelle aree archeologiche romane e laziali, Soprintendenza Archeologica per il Lazio, Roma 1991. In essa si illustra come negli ultimi anni ’80, nell’ambito delle tecniche di consolidamento, ci sia stato un crescente interesse alla riacquisizione conoscitiva delle tecniche tradizionali ed alla verifica della loro funzione meccanica. Ciò si evince dalle “Raccomandazioni” emanate dal Comitato Nazionale per la Prevenzione del Patrimonio Culturale dal Rischio Sismico (1986) e dalla nuova Carta Italiana del Restauro (1987), che mettono in guardia dagli effetti di “tecnologie innovative che permettono di realizzare rinforzi invisibili ma generalmente irreversibili, adulteranti, incompatibili e poco durabili, che conservano di fatto l’aspetto e non la struttura della fabbrica”.
Il testo comprende una campionatura, corredata da rilievi e documentazione fotografica di provvedimenti consolidativi di epoca pre-industriale e di interventi recenti, successivamente messi a confronto. Si sono, infine, effettuate verifiche con modelli matematici per analizzare il comportamento statico di strutture di consolidamento antisismico di tipo pre-industriale.
Nel breve contributo di Alessandra Melucco Vaccaro, La crisi della "bella rovina": problemi attuali nella conservazione delle aree archeologiche, in: Archeologia: recupero e conservazione, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, Bologna, Nardini, Firenze1993, vengono enucleate le principali problematiche dovute a un’errata interpretazione della Teoria del Restauro di Cesare Brandi e della Carta del restauro del 1972, secondo cui, sulla struttura dei monumenti archeologici, sarebbe stato lecito intervenire a fini statici con trasformazioni ed aggiunte, alla sola condizione che esse non fossero evidenti e non alterassero la superficie.
Ciò ha portato all’uso di materiali e tecnologie mutati dall’edilizia civile corrente in quanto si riteneva che il comportamento statico fosse analogo e si consideravano i nuovi materiali migliori e più duraturi.
Vengono enunciate, dunque, alcune linee di orientamento per interventi ritenuti “corretti”.
-         stretta relazione e concomitanza tra conoscenza dei materiali, conoscenza storico-filologica e interventi di conservazione;
-         natura sperimentale degli interventi che scaturiscono da specifiche verifiche;
-         criterio del minimo intervento; preferenza di materiali meno duraturi con restauri, ispezioni e manutenzioni più frequenti;
-         presenza di un restauratore specializzato;
-         importanza della pulitura;
-         importanza della documentazione;
-         importanza della protezione da acqua meteorica;
-         importanza del cantiere come momento conoscitivo.
Nel breve testo di Luigi Marino, La conservazione dei manufatti edili ridotti allo stato di rudere: protezione delle creste ed integrazione delle lacune, in: “Archeologia: recupero e conservazione”, Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, Bologna, Nardini, Firenze1993, si fa un quadro delle principali problematiche teorico-pratiche che esistono dietro gli interventi di restauro e protezione dei resti archeologici:
-         il carattere straordinario e non manutentivo del restauro archeologico
-         la necessità di strategie nella fase di impostazione della progettazione e conduzione dell’intervento in cantiere
-         i contrasti tra archeologi e architetti sulle modalità di conservazione (storia delle tecniche costruttive vs storia delle forme architettoniche);
-         la questione della prevenzione e dell’ordinaria manutenzione, contro soluzioni definitive e, in quanto tali, spesso irreversibili e dannose.
Da una ricerca effettuata dall’autore su numerosi interventi di restauro archeologico risultano, infatti, indecisioni disciplinari di base con tendenze operative variamente articolate e con prevalenza di soluzioni ritenute definitive che risultano pesantemente invasive e irreversibili.
Nell’intervista di Stefano Gizzi a Salvatore D’Agostino, Quali tecniche per il restauro?, in: Quaderni ARCo, restauro, storia e tecnica., Gangemi, Roma 1995, si mette in risalto le specificità della vulnerabilità dei resti archeologici e l’inadeguatezza dei sistemi di valutazione comunemente usati per quantificarla come, ad esempio, il sistema di calcolo P.O.R., che può dare indicazioni utili solo per edilizia ordinaria di ridotte dimensioni a struttura intelaiata o a pannelli. L’intervista si conclude con una valutazione dell’attività del Comitato Nazionale per la Prevenzione del Rischio Sismico.
L’articolo di Julius Gy Hajnèczi, The problems of authenticity and identity as reflected by preservation of archaeological monuments, in: “Scientific journal ICOMOS”, N. 6, 1995, pp. 27-42, indaga sulle origini della conservazione dei monumenti che sembrerebbe doversi far risalire al Rinascimento, quando le tradizioni del passato cominciavano ad essere rivalutate e l’autenticità formale andava emergendo come un problema etico e professionale. Secondo l’autore l’autenticità ha due aspetti: uno misura la genuinità dell’oggetto, l’altro misura la correttezza dei suoi esecutori che può essere considerata sia da un punto di vista teorico che esecutivo.
Le autrici del testo Gisella Capponi, Alice Ferroni, Alessandra Vaccaro Melucco, Anna Maria Giovagnoli ed altri, Verifiche e controlli di durabilità nella manutenzione programmata dei monumenti marmorei di età imperiale a Roma, in: Dal sito archeologico all'archeologia del costruito: conoscenza, progetto e conservazione. Atti del convegno di studi, Bressanone, 3-6 Luglio 1996, Arcadia, Padova 1996, pp. 199-208, espongono i risultati di una ricognizione che prevedeva, mediante l’analisi ravvicinata dei monumenti, (Arco di Settimio Severo, Colonna di Marco Aurelio, Colonna Traiana) il controllo delle superfici restaurate in precedenza, l’esecuzione di piccole opere di pronto intervento, l’acquisizione di documentazione fotografica dello stato di conservazione, l’esecuzione di indagini scientifiche mirate all’acquisizione di dati sullo stato di conservazione delle superfici e sul comportamento dei materiali e dei prodotti utilizzati nei restauri passati.
L’esperienza ha permesso di evidenziare quali siano i temi da approfondire per arrivare alla formulazione di un piano-programma ai fini della manutenzione.
Le specificità dei siti archeologici sono evidenziate nel breve intervento di Salvatore D'Agostino e Alessandra Melucco Vaccaro, Il rudere archeologico: un contributo alla conoscenza della sua vulnerabilità, in: Dal sito archeologico all'archeologia del costruito: conoscenza,progetto e conservazione. Atti del convegno di studi, Bressanone, 3-6 luglio 1996, Arcadia, Padova 1996, pp. 29-37, in esso si fa presente come pur giungendo a noi in conformazioni molto diverse da quelle originarie, i resti archeologici costituiscono un “documento d’archivio di Storia materiale” in quanto il tempo ha lasciato le tracce del suo trascorrere su di essi.
Sui beni archeologici la minima alterazione e la massima durabilità garantiscono la migliore trasmissione al futuro delle informazioni del nostro passato; questi requisiti  rappresentano quindi l’obiettivo primario delle tecnologie appropriate d’intervento e di conservazione. In quest’ottica, vengono analizzati i vari tipi di vulnerabilità specifiche che caratterizzano i monumenti archeologici.
Di Matilde Gonzalez Mendez è l’articolo, dal titolo provocatorio El ocio y el reciclado: la conversiòn del vestigio arqueologìco en producto de consumo, in: “Boletin del Instituto Andaluz del Patrimonio Històrico”, Anno 4, n. 14, 1996, pp. 24-27; pone in realtà una questione molto seria: la valorizzazione del bene archeologico.
Il recupero fisico e materiale di resti archeologici non può essere il fine ultimo dello scavo ma, per creare un prodotto socialmente utile e attraente è necessario rendere fruibili anche gli aspetti “narrativi”, ovvero storici, culturali, che il ritrovamento archeologico ha permesso di riproporre. L’interesse turistico verso l’archeologia va costantemente crescendo col tempo e con esso la frequentazione di località con siti archeologici. Lo scopo da raggiungere è quello di coinvolgere al meglio il grande pubblico anche negli aspetti storico-ricostruttivi coniugando in tal modo obiettivi culturali ed economici.
Sempre sugli aspetti di conservazione e musealizzazione è il testo di Sandro Ranellucci, Strutture protettive e conservazione dei siti archeologici, Carsa, Pescara 1996, Esso analizza numerosi aspetti della conservazione archeologica: la reintegrazione, l’illuminazione come strumento critico non neutrale, le questioni museologiche, le strutture di protezione, in relazione al sito, al linguaggio architettonico, ai tipi di degrado. Illustra criticamente, inoltre,  precedenti progetti già realizzati nel passato.
Vengono proposti ed esaminati una serie di esempi di strutture destinate alla  protezione di siti archeologici nel contributo di Maura Manzelle, La copertura di un sito archeologico: un problema architettonico, in: Dal sito archeologico all'archeologia del costruito: conoscenza, progetto e conservazione, atti del convegno di studi, Bressanone, 3-6 Luglio 1996, Arcadia, Padova 1996, pp. 473-482. Nel testo si sottolineano i problemi di compatibilità estetica che sorgono nella progettazione.  Il diverso peso che assumono di volta in volta nel progetto le questioni conservative, didattiche, sperimentali, di fruizione, porta a soluzioni diverse, in base alla priorità stabilita. Il testo evidenzia la difficoltà del fare architettura stanti le diverse istanze compresenti. Ciò implica un operare critico e interpretativo, nella consapevolezza che l’intervento sul contesto ha forti ripercussioni sull’opera stessa.
Negli atti dello stesso convegno è compreso anche il testo di Stefano F. Musso, Archeologia, restauro, riutilizzazione, pp. 49-59, dove viene ripreso in termini teorici il rapporto tra archeologia, restauro e fruizione. Tema affrontato fin dal XIX° sec. da Viollet Le Duc, Ruskin, Dvoràk, Giovannoni ed altri, che implica responsabilità di scelta specifiche che non si possono ignorare. Scelte che obbligano architetti e archeologi a confrontarsi e cooperare nella consapevolezza di un “futuro funzionale” per monumenti che, comunque, non possono considerarsi “morti”.
Una breve storia della conservazione archeologica è tracciata nel testo di Catherine Sease, A short history of archaeological conservation, in: Archaeological conservation and its consequences, preprint degli atti del Convegni di Copenhagen, 26-30 agosto1996, International Institute for Conservation, Londra 1996, pp. 157-161. La relazione parte dalla prima testimonianza scritta sulla conservazione di antichità che viene da Plinio nel I° secolo d.C.. I fondamenti della moderna conservazione possono collocarsi nel Rinascimento e nei secoli seguenti, con lo sviluppo dell’antiquarismo, quando il restauro, guidato dal gusto e dall’estetica del tempo, si sviluppa velocemente. Cellini firma il primo trattato su metodi e teorie di alcuni restauratori rinascimentali.
Gli scavi dei siti come Pompei ed Ercolano accrescono la necessità di tecniche conservative e restaurative delle strutture emerse con gli scavi. Con la fine del XVIII° sec. e l’inizio del XIX°, cresce l’interesse verso problemi concernenti i materiali archeologici da parte degli studiosi che,  insieme allo sviluppo delle tecniche, porta nel XIX° e XX° secolo alla creazione della moderna conservazione archeologica.
Il restauro archeologico nei tempi brevissimi dell’urgenza viene illustrato in Luigi Marino, Ilaria Telara, Andrea Scaletti Gli interventi di emergenza nel restauro archeologico, in: Patrimonio archeologico, progetto architettonico e urbano Politecnico di Milano. Facoltà di architettura. Alinea, Firenze 1997, pp. 102-104. Il problema maggiore riguarda la diagnostica di emergenza che potrebbe essere effettuata da un’unità mobile precostituita che, comprendendo vari specialisti e strumentazioni tecniche, è pronta a intervenire in caso di necessità immediate svolgendo in tempi brevi tutte quelle attività indispensabili propedeutiche al progetto.
Aspetti più teorici sono affrontati da Anna Boato in Archeologia dell’architettura tra conoscenza, formazione e progetto, in: Guido Biscontin (a cura di), Guido Driussi (a cura di), Progettare i restauri: orientamenti e metodi, indagini e materiali, atti del convegno di studi, Bressanone, 30 giugno - 3 luglio 1998. Arcadia Ricerche, Marghera 1998, pp. 229-240. Nell’articolo si illustra come l’archeologia abbia assunto un nuovo ed importante ruolo nel restauro dell’architettura antica. La disciplina è nata essenzialmente come forma di conoscenza storica ma, quando l’oggetto di studio diventa un edificio ciò implica l’entrare in stretto confronto con l’architetto, l’urbanista, l’ingegnere. Ognuno ha il suo approccio metodologico che può creare conflitti o cooperazione.
Il testo esamina i rapporti tra l’archeologia ed il progetto di restauro, dai problemi della conoscenza storica fino a quelli di carattere architettonico e ricostruttivi.
Analoghi temi, nello stesso convegno, sono affrontati da Stefano Gizzi, Differenze ed analogie tra progetto di restauro archeologico e progetto di restauro architettonico, pp. 663-670. Nel contributo l’autore si domanda se esista una specificità nella progettazione del restauro archeologico rispetto a quella del restauro architettonico o di altri “tipi” di restauro. Per questo scopo vengono analizzati vari esempi, come quello delle Cento Camerelle a Villa Adriana o quello della piazza storica di Derby dell’arch. James Stirling, la Chiesa delle Stimmate a Velletri o le Stalle Chigi a Roma.
Sempre della stessa raccolta di atti è il testo di Valeria Mariotti, Cantiere archeologico e restauro: un progetto impossibile?, pp. 241-250. Esso analizza una questione fondamentale nel restauro: attraverso esempi concreti (Palazzo Martinengo a Brescia, il Teatro Romano e l’area dell’Anfiteatro a Cividatecamuno) si pone in evidenza la necessità di creare una forte collaborazione nella fase progettuale preliminare agli scavi e in quella dei conseguenti restauri, tra gli archeologi e gli architetti, in modo tale che gli archeologi possano indirizzare la loro strategia di scavo in accordo alle necessità di cantiere e in vista delle sistemazioni finali.
Altra questione importante, sempre affrontata da un contributo nel convegno di Bressanone del ’98 è affrontata da Anna Maria Reggiani e Stefano Gizzi, Progetto di restauro archeologico e compatibilità con nuovi usi, pp. 677-682. In esso si evidenziano le possibili relazioni intercorrenti tra lo svolgimento di un progetto di restauro archeologico e la scelta di eventuali utilizzazioni dei complessi edilizi ridotti a rudere per le esigenze legate all’epoca attuale, verificando se la scelta di una funzione specifica sia essa stessa, di per se, una scelta interamente progettuale, anche se difficoltosa e non applicabile a tutti i complessi classici e post classici in rovina.
Il breve  contributo di Mariangela Bellomo, Materiali e tecnologie per le coperture in aree archeologiche: una riflessione sull’argomento, in: Luigi Marino (a cura di), Carla Pietramellara (a cura di), Cinzia Nenci (a cura di), Tecniche edili tradizionali: contributi per la conoscenza e la conservazione del patrimonio archeologico, Alinea, Firenze 1999, pp. 63-64, analizza il tema delle coperture di protezione dei reperti archeologici che, da un lato, vengono realizzate senza eccessive preoccupazioni formali quando nascono per  essere provvisorie e, se dovute a necessità di scavo, spesso vengono invece lasciate a tempo indeterminato, anche dopo la fine dei lavori; dall’altro per soluzioni definitive, implicano delicate scelte relative alle strutture portanti, ai punti d’appoggio, a questioni formali nonché ricostruttive.
Nello stesso Convegno Salvatore D’Agostino in Archeologia e storia materiale: criteri guida per la conservazione strutturale, pp. 15-18, nel suo breve contributo teorico, definisce con chiarezza un percorso non facile, insediato dalla pratica professionale e di cantiere ma metodologicamente limpido. “Obiettivo primario dell’intervento sul reperto o sul monumento è la conservazione della sua identità storica, ne discende la necessità di operare nel rispetto della concezione costruttiva, dei materiali e delle tecniche antiche”. Gli interventi dovrebbero quindi essere minimi nella consapevolezza di poter contare su una manutenzione programmata.
Vengono inoltre definiti alcuni principi fondamentali per gli interventi di conservazione archeologica.
Aspetti teorici sono anche affrontati da Sandro Ranellucci, Linee metodologiche per la conservazione dei siti archeologici, in: “Opus: quaderno di storia dell'architettura e restauro”, vol. 6, 1999, pp. 447-480. Nell’articolo si esaminano gli esiti del lavoro sperimentale interno alla struttura universitaria  in merito a progetti riguardanti la conservazione dei siti archeologici,  con finalità sia protettive che evocative.
In particolare si è cercato di attenuare la tendenza alla segregazione del reperto in un museo preferendo, piuttosto, una musealizzazione in situ. Si evidenzia come la semplice introduzione di una struttura protettiva in un contesto preesistente, quasi inevitabilmente, si trasforma, se concepita come termine esclusivamente autonomo e puramente strumentale, in un ulteriore decurtazione in termini di conoscenza o di attribuzione di valore. Al rischio di un’eventualità così negativa è preferibile contrapporre simmetricamente l’intento di trasformare la nuova condizione in un consapevole atto interpretativo.
Tra i vari esempi illustrati troviamo le necropoli di Siponto e Botromagno, le aree archeologiche di Classe, Grumentum, Saepinum, Alba Fucens e Manduria.
L’importante tema dell’anastilosi è trattato da Ute Starosta, Structural concepts of anastilosis, in: “Conservation and management of archaeological sites, Vol. 3, n. 1 e 2, 1999, pp. 83 – 90. Nell’articolo si fa notare come da più di un secolo si ricostruiscono edifici antichi, e come durante tale periodo varie teorie riguardanti la conservazione dei monumenti si siano succedute. Gli edifici classici, in particolare, sono stati  al centro del dibattito. Per capire e confrontare le varie teorie, questo testo assume un’ottica strutturale. Su tali basi risulta che, nonostante i nuovi sistemi di supporto e connessioni, le nuove strutture risultano spesso meno robuste di quelle originali.
Dall’inizio del ventesimo secolo il concetto di anastilosi è stato determinato in base a ciò che era tecnologicamente realizzabile al momento non sempre valutando opportunamente la specificità dell’applicazione in campo archeologico.



Monumenti archeologici e loro restauri

Il piccolo libro, corredato da numerose illustrazioni a colori e in bianco e nero di Giuseppe Cozzo, Il Colosseo. L’Anfiteatro Flavio nella tecnica edilizia, nella storia delle strutture, nel concetto esecutivo dei lavori, Fratelli Palombi, Roma 1971, analizza in modo sistematico, sia pur sintetico, i vari aspetti, storici, geometrici, costruttivi, funzionali, inerenti il monumento, compresi gli ipogei e fornisce le ipotesi ricostruttive più accreditate delle parti mancanti.
Altro manufatto archeologico è illustrato da Bruno Cenni, Tecniche costruttive romane, Teatro Romano di Gubbio, Città di Castello, 1973, il testo, dopo aver dato indicazioni generali sui teatri romani riporta informazioni bibliografiche specifiche relative all’Anfiteatro Romano di Gubbio. E’ corredato da numerose foto in bianco e nero e di due disegni di rilievo in grande formato tra cui una pianta in scala 1:200 del monumento.
Di un aspetto relativo al restauro del Colosseo ci parla Michele Campisi nel suo contributo  L’impiego del laterizio nelle ricostruzioni ottocentesche del Colosseo, in: AA.VV., Scienza e Beni Culturali: Conoscenze e sviluppi teorici per la conservazione di sistemi tradizionali in muratura, Atti del Convegno di Studi, Bressanone 23–26 Giugno 1987, Libreria Progetto, Padova 1987, pp. 377-390. In esso sono documentati alcuni degli interventi restaurativi e di consolidamento delle murature realizzati nell’800 ad opera di Valadier e di Stern. In particolare vengono esaminate le realizzazioni del cantiere diretto da Gaspare Salvi (1837) che riguardarono la sostituzione del travertino con il laterizio, nella ricostruzione di alcuni tratti esterni ed interni delle arcate, lo studio di diversi tipi di laterizio e il modo in cui essi venivano impiegati.
Altro studio, che si inserisce nell’ambito delle ricerche sul recupero delle tecniche tradizionali storiche, è quello di Jolanda De Angelis e di Elisabetta Nanniperi illustrato nel testo I restauri di Pio IX alle Mura Aureliane. O rivestimenti in cortina laterizia nei tratti tra Porta San Giovanni e Porta Maggiore e i rivestimenti in tufo degli arconi del Muro Torto, in: AA.VV., Scienza e Beni Culturali: Conoscenze e sviluppi teorici per la conservazione di sistemi tradizionali in muratura, Atti del Convegno di Studi, Bressanone 23–26 Giugno 1987, Libreria Progetto, Padova 1987,pp. 391-400. In esso viene proposto un metodo di lettura e di verifica applicato ad un caso specifico che resta valido a livello generale. La prima parte della relazione è costituita dall’analisi tecnica e morfologica delle cortine laterizie ed in tufo dei restauri di Pio IX, tramite una schedatura basata sulla classificazione proposta dal Lugli.
Si documentano, poi, le opere di restauro eseguite nel tratto tra Porta San Giovanni e Porta Maggiore, infine si descrive il progetto di Luigi Poletti per il  Muro Torto (1848) relativo al rifacimento delle strutture e degli arconi.
I problemi statici alla Domus Tiberiana e la loro soluzione sono illustrati da Antonino Giuffrè e Giangiacomo Martines nel testo Domus tiberiana: dissesti antichi e provvedimenti nuovi, in: AA.VV. Scienza e Beni Culturali Conoscenze e sviluppi teorici per la conservazione di sistemi costruttivi tradizionali in muratura, Atti del Convegno di Studi di Bressanone, 23-26 giugno1987, Libreria progetto, Padova 1987, pp. 307-317. Costruita in più fasi nel Palatino, nella Domus è presente un alto terrazzo sostenuto da sostruzioni e arcate adrianee. Le murature laterizie, profondamente lesionate, hanno subito negli anni consolidamenti rivelatisi inutili, basati su cuciture armate che tendevano a rendere solidali strutture murarie adiacenti, costruite in epoche diverse e con fondazioni su terreni di diverso tipo. Studi e sondaggi accurati hanno poi rivelato le cause dei dissesti ed indicato le modalità di intervento. I monitoraggi hanno evidenziato variazioni cicliche nelle dimensioni delle lesioni; la soluzione migliore era da ritenersi quindi quella di lasciarle libere e pulite da detriti, prevedendo incatenamenti compatibili con i movimenti stagionali.
Sempre su questioni strutturali di contraffortamento è il testo di Stefano Gizzi, Speroni e contrafforti di restauro in laterizio ed in pietra tra ‘Settecento e ‘Ottocento: casistica e manualistica nel Lazio e nell’Abruzzo, in: AA.VV., Scienza e Beni Culturali: Conoscenze e sviluppi teorici per la conservazione di sistemi tradizionali in muratura, Atti del Convegno di Studi, Bressanone 23–26 Giugno 1987, Libreria Progetto, Padova 1987, pp. 71-80. Esso parte da un ripensamento sulle tecnologie di consolidamento e restauro, in cui iniziano ad apparire i danni prodotti dall’uso indiscriminato pluridecennale dei ‘nuovi materiali’ (acciaio, cemento, resine) nel restauro dei manufatti storici, ed arriva ad esaminare alcune tipologie tradizionali di rinforzo, relative ad alcuni speroni e contrafforti lapidei e laterizi realizzati nel Lazio e nell’Abruzzo dopo il terremoto del 1703, il cui uso durò fino ad almeno la metà del XIX secolo. Tra questi, gli speroni di restauro realizzati a Villa Adriana e al Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli.
Il Parco di Colle Oppio, un importante tema romano viene preso in esame da Giovanni Caruso e Paolo Giusberti in Restauro e sistemazione delle Terme di Traiano, in: AA.VV., I siti archeologici, un problema di musealizzazione all’aperto, primo seminario di studi, Provincia di Roma, Assessorato alla Pubblica Istruzione e Cultura, Multigrafica, Roma 1988. Vengono descritte le grandi strutture interrate delle Terme di Traiano e delle sette sale e l’attuale sistemazione in superficie realizzata dal Muñoz nel ’36 con la grande via di Colle Oppio, che taglia il parco non tenendo conto delle esistenze archeologiche sottostanti. Sono quindi esposti i problemi relativi alla difficile lettura in superficie del sito archeologico, alla presenza di un invadente parcheggio e di altre usi incongruenti. Infine vengono avanzate ipotesi di progetto per la chiusura della strada e la sistemazione del parco. 
Sullo stesso tema, ma di alcuni anni più tardi, l’articolo di Mauricio Uribe e di Detry Nicolas: Domus Aurea: progetto conservativo e sistemazione del Parco del Colle Oppio, in: “Controspazio”, anno 25, n. 3, 1994, pp. 44-50. In esso viene fatta un’analisi storica dell’edificio, fino alla situazione attuale, per poi soffermarsi sulla proposta progettuale  (attualmente parzialmente realizzata), che prevede l’eliminazione di via di Monte Oppio e la creazione di un grande giardino il cui disegno, peraltro in modo piuttosto pedissequo, ricalchi, con siepi e piazzali di ghiaia, gli spazi sotterranei della residenza imperiale.
Altro tema importante, ma questa volta in Grecia, è la conservazione dell’Acropoli d’Atene. Il testo di Fani Mallouchou, Iannis Alexopoulos e Anne-Marie Guimier-Sorbets, Conservation des monuments de l'Acropole: le traitement de la documentation, in: “Brises”, n. 15.2, 1990, pp. 86-88, ne illustra alcuni aspetti : nel 1975 è stato creato ad Atene un “Comitato per la conservazione”, con il compito e la responsabilità dei lavori di restauro dei monumenti dell’Acropoli. Questo comitato ha raccolto una documentazione  dettagliata ed abbondante sia sulle fasi di studio preliminari che sugli interventi effettuati. L’informatizzazione dell’archivio, con un sistema multilingue permette l’accesso ad una grande quantità d’informazioni che costituiscono non solo un aiuto ai lavori in corso ma anche una fonte di conoscenza dell’architettura classica.
Restando all’Acropoli di Atene, il testo di Marina Rosi, I restauri del Partenone, in: Stella Casiello (a cura di), Restauro, criteri, metodi, esperienze, Electa, Napoli 1990, pp. 129-161, prende in esame i danni prodotti da interventi ‘invasivi’ e ‘moderni’ su monumenti archeologici soffermandosi, come esempio, sul caso del Partenone.
Il saggio descrive le vicende storiche del Partenone dall’epoca di costruzione  (432 a.C.) fino al XIX sec., documentando le varie campagne di scavo e i diversi studi via via compiuti.
Vengono poi presi in esame i restauri ottocenteschi e novecenteschi, viene fatta una valutazione dei danni prodotti dall’inquinamento atmosferico ed infine si descrivono le proposte del recente restauro ispirato ai principi della Carta di Venezia.
Tornando a Roma, il testo di Federica Garello, Lucia Ottaviani e Rossella Rea, Gli ipogei dell’Anfiteatro Flavio nell’analisi delle strutture murarie, in: “Mededlingen van het Nederlands intituut te Rome”, Vol. 50, 1991, pp. 167-235, rappresenta un primo approccio sistematico alle strutture ipogee. Si è focalizzato, in particolare, un settore campione: il quadrante sud-ovest, per il suo migliore stato di conservazione, e si è proceduto all’analisi di ciascun manufatto pervenendo alla formulazione di una cronologia  alla quale è seguita, come ipotesi, una suddivisione in fasi.
I risultati raggiunti costituiscono la base per un’ulteriore approfondimento che comprenda anche problematiche nell’articolo non affrontate come quelle relative agli aspetti idraulici, o a quelle riguardanti i piani di calpestio.
Un rendiconto degli studi svolti, in vista degli interventi di consolidamento effettuati è la raccolta di Livio Crescenzi (a cura di), Stefano Gizzi (a cura di) e Pietro Vigilante (a cura di), Villa di Nerone ad Anzio: restauri, 1989, Soprintendenza archeologica per il Lazio - Silvestrini, Roma 1992. In esso viene descritta la Villa e vengono illustrate le diverse fasi storiche ed i diversi restauri effettuati nel tempo. Seguono numerose tavole con planimetrie e disegni di rilievo.
Rimanendo nel Lazio Stefano Gizzi in Relazione tra restauro archeologico e tutela dei centri storici. Una verifica in area laziale, in: Federica Galloni (a cura di), Atti IV congresso Nazionale ASSI.R.C.CO, Prato 3-5 giugno 1992, Kappa, Roma 1992, pp. 193-202, con numerose immagini in bianco e nero, evidenzia l’importanza di mettere in relazione la valorizzazione dei singoli manufatti monumentali archeologici con il relativo intorno, costituito spesso da complessi edilizi di valore storico-ambientale, in una visione generale d’insieme.
Errore frequente è, infatti, quello di considerare il restauro archeologico come un’azione rivolta esclusivamente ai singoli monumenti, perdendo l’occasione di restituire una leggibilità contestuale.
Carlo Baggio e Maria Grazia Filetici nel testo L’uso dell’arco nel Circo Massimo, gli scavi del’20 e i restauri recenti, in: Maria Margarita Segarra Lagunes (a cura di), Manutenzione e recupero nella città storica, atti del I Convegno Nazionale, Roma, 27-28 aprile 1993, Associazione per il recupero del costruito (ARCo), Gangemi, Roma 1993, pp. 529-538, descrivono una breve storia dei restauri pregressi e illustrano i restauri allora in corso di esecuzione, in particolare quelli del IX fornice dell’emiciclo meridionale dove si stavano effettuando ricostruzioni adottando le tecniche originali emerse dai rilievi. Per le reintegrazioni degli archi si è partiti dalle imposte di quelli originali procedendo con lo stesso raggio di curvatura. Si è avuto cura di lasciare un leggero sottosquadro e si è eseguita una martellinatura sui laterizi per distinguere la parte nuova restituendo un’immagine globale coerente con le preesistenze.
Proseguendo l’analisi dei temi illustrati nel testo sopra riportato del ‘91 Rossella Rea, con Gianluca Schingo, tornano ad occuparsi del Colosseo nell’articolo Il progetto di restauro del Colosseo. I sotterranei: assetto idraulico e interventi strutturali tra XIX e XX secolo, in: “Bollettino di archeologia”, Vol. 23-24, 1993, pp. 65-101. Partendo dalla comprensione del sistema idraulico di smaltimento, essi hanno  inteso dare un importante contributo alla comprensione generale del monumento. Il sistema di adduzione e scarico rappresenta, infatti, la vera intelaiatura portante dell’edificio e ne riflette la vita, i restauri, i cambi d’uso, ponendo in evidenza relazioni edilizie con eventuali fasi precedenti la conformazione attuale.
Questo “apparato radicale” del Colosseo viene a trovarsi in un’area –quella delle Stagna Neronis– già interessata da una situazione idraulica molto complessa. Lo studio dei sistemi idraulici ha comportato la necessità di riconsiderare organicamente tutta la grande massa di dati, spesso inediti, che i lavori del secolo XIX hanno prodotto.
Il testo, ricco di disegni, stampe e foto d’epoca, termina con l’illustrazione degli interventi effettuati nei sotterranei.
L’articolo, in lingua inglese, di Marisa Mastroroberto, The House of C. Julius Polibius in Pompei: reasons for restoration, in: Vestiges archéologiques: la conservation in situ, atti del secondo convegno internazionale l'ICAHM (International Committee on Archaeological Heritage), Montréal 11-15 ottobre 1994, l'ICAHM, Montréal 1996, pp. 227-234, parla della prestigiosa casa di C. Julius Polibius, situata lungo la Via dell’Abbondanza, nel cuore della città di Pompei antica ma anche di quella turistica attuale, che venne alla luce negli anni ’70. E’ parte di una struttura edilizia complessa ricca di apparati decorativi e pittorici e di elegante mobilio. Negli anno ’70 ed ’80 ha sofferto gravemente l’abbandono e l’incuria con conseguenti gravi danni. L’autrice evidenzia le ragioni che l’anno guidata alla scelta di quest’opera come punto centrale di un programma di valorizzazione; espone, inoltre, le strategie di sviluppo della ricerca finalizzata al restauro, alla conservazione e alla riapertura al pubblico delle strutture recuperate.
Viene descritto in tutti i suoi aspetti l’intervento di restauro di un’insula romana da Giuliano Cianfrocca e da Daniele De Prai, Roberto Pes nell’articolo L’insula romana IN (N-2) di Paestum: intervento di restauro e proposte per la fruizione , in: “Tema”, n. 4, 1995, pp. 6 -18. Dall’analisi storico-archeologica ai problemi esecutivi di cantiere, dai restauri dei pavimenti, alle proposte per le parti di reintegrazione, fino alla descrizione dei pannelli didattici esplicativi e alla definizione dei percorsi museali.
Il contributo di Martha Demas, Ephesus, in: The conservation of archaeological sites in the Mediterranean region, atti della conferenza internazionale organizzata dal Getty Conservation Institute e dal J. Paul Getty Museum, 6-12 maggio 1995, Los Angeles, Getty Conservation Institute, Los Angeles 1997, pp. 90-92, 127-149, illustra i valori storico archeologici, sociali, simbolici, religiosi, estetici, economici del sito archeologico di Efeso. Vengono, inoltre, descritti gli interventi di restauro nel corso dei vari periodi che vanno dal 1863 ai giorni nostri. Seguono considerazioni metodologiche sui restauri e sull’uso moderno dei monumenti antichi.
L’articolo di Valeria Ventura, Archeologia e restauro a Brescia: la ricostruzione in anastilosi del Tempio di Vespasiano (1937-1941), in: “Tema”, n. 4, 1995, pp. 63-69, illustra le problematiche relative alla ricostruzione del Tempio di Vespasiano a Brescia la cui realizzazione fu il risultato del confronto di ipotesi ricostruttive differenti. Si arrivò ad un compromesso fra le proposte locali, improntate ad un rigido filologismo e quelle avanzate dai soprintendenti i quali avevano il compito di rispettare le direttive del ministero che imponevano una forte differenziazione delle parti di reintegrazione. Vengono illustrate in dettaglio tutte le attività diagnostiche effettuate sul Teatro Romano di Aosta in L. Appolonia, D.Vaudan, S.Migliorini, Il progetto diagnostico per il restauro archeologico di grandi aree, in: Dal sito archeologico all'archeologia del costruito: conoscenza, progetto e conservazione, atti del convegno di studi, Bressanone, 3-6 luglio 1996, Arcadia, Padova 1996, pp. 189-198. Lo studio comparativo ha permesso di verificare le capacità analitiche attualmente disponibili per valutare le cause ed il livello di degrado di un contesto archeologico all’aperto, di grandi dimensioni, premessa essenziale per la redazione di un corretto intervento di restauro.
Passando alla Sardegna, Cirillo Atzeni, Luigi Massidda, Ulrico Sanna e Carlo Tronchetti nel testo Problemi di conservazione del rudere di un edificio termale romano-imperiale di Nora (Sardegna), in: Dal sito archeologico all'archeologia del costruito: conoscenza, progetto e conservazione, atti del convegno di studi, Bressanone, 3-6 luglio 1996, Arcadia, Padova 1996, pp. 165-175, analizzano i processi chimico-fisici che hanno portato alla ruderizzazione dell’edificio “Terme a Mare” di Nora. Essi sono legati al dilavamento delle acque meteoriche su strutture prive di copertura, di intonaco e assai porose; nonché alla cristallizzazione salina che genera fenomeni disgregativi notevoli in relazione alla dimensione dei pori in cui ha luogo.
La sperimentazione di impregnanti  sia polimerici che inorganici ha dimostrato di non essere risolutiva e anzi, spesso controproducente.
La realizzazione di barriere fisiche rimane, pertanto, l’unica possibilità di opporsi, con una certa efficacia, al degrado del rudere.
Riguardante il problema della conservazione in situ di strutture archeologiche e manufatti di notevole pregio e fragilità, quali mosaici pavimentali, stucchi e intonaci dipinti, è il contributo di C. Cacace, G. Capponi, M.C. Laurenti e N. Petrini, La protezione delle aree archeologiche: la Domus dei Coiedii a Suasa, in: Dal sito archeologico all'archeologia del costruito, conoscenza,progetto e conservazione, atti del convegno di studi, Bressanone, 3-6 Luglio, Arcadia, Padova 1996, pp. 411- 420. Esigenze di conservazione come irrinunciabile scelta culturale insieme alle esigenze di valorizzazione delle aree archeologiche configurano la necessità di proteggere i resti antichi ricercando soluzioni architettoniche di cui spesso non è facile misurare il livello di compatibilità, sia sul piano conservativo che sul piano formale. L’impegno dell’Istituto Centrale del Restauro nello scavo archeologico della Domus dei Coiedii a Suasa (AN), ha offerto lo spunto per approfondire alcune problematiche legate alla conservazione delle aree archeologiche, sia per la messa a punto di metodologie sperimentali di consolidamento  in situ e restauro dei mosaici pavimentali, sia per il progetto della copertura definitiva dell’area scavata.
La breve relazione di L. Cinquegrana, E. La Forgia, M.R. Marchetti, P. Musella ed altri, La conservazione in archeologia: il caso della Villa Romana di Boscorotto (Caserta), in: Dal sito archeologico all'archeologia del costruito, conoscenza,progetto e conservazione, atti del convegno di studi, Bressanone, 3-6 Luglio, Arcadia, Padova 1996, pp. 451-458, descrive il ritrovamento della Villa, la sua conformazione le problematiche relative alla sua collocazione presso un parco ferroviario, la struttura di protezione realizzata.
L’articolo (con foto a colori e disegni del progetto esecutivo) di Maria Grazia Filetici e Antonino Giuffrè, Archeologia, conservazione, restauro: restauro e ripristino del Tempio Rotondo al Foro Boario a Roma, in: “Casabella”, anno 60, N. 636, 1996, pp. 4-13 descrive il restauro del Tempio Rotondo al Foro Boario, soffermandosi in particolare sulle problematiche inerenti la  realizzazione della nuova struttura lignea di copertura. (Si veda la relativa Scheda tecnica di intervento).
Dal titolo provocatorio è l’articolo di Stefano Gizzi, Villa di Nerone ad Anzio: perderla o restaurarla?, in: “Bollettino d'arte”, Serie VI, Anno 81, N. 96-97, 1996, pp. 97-126, il testo, ricco di fotografie, disegni e stampe d’epoca, illustra in modo molto completo e approfondito la situazione in cui versa la Villa Neroniana. Viene, innanzitutto, illustrata la storia del monumento, le sue fasi evolutive, l’iconografia relativa e i rilievi. Viene poi confrontata la Villa con altre strutture neroniane.
Viene anche affrontata la questione dei limiti del progetto – fino a dove esso si deve spingere con gli interventi –, considerato l’altissimo stato di degrado. Vengono, infine, illustrate le scelte effettuate e le tecnologie adottate per l’esecuzione dei restauri.
Situazioni ben diverse rispetto a quelle europee esistono in Nord d’Africa: Thomas C. Roby nell’articolo Site conservation during excavation: stabilization and consolidation of Roman funerary monuments in Carthage, in: Archaeological conservation and its consequences, preprints degli atti del convegno di Copenhagen, 26-30 August 1996, International Institute for Conservation, Londra 1996, pp. 149-152, esamina le problematiche relative agli scavi di monumenti funerari romani in Nord Africa; in particolare, quelli del cimitero di Yasmina dell’estate 1994-95. Tra le varie tecniche di protezione, quella del reinterro viene illustrata come la più efficace, in assenza di costose strutture idonee, e soprattutto per evitare il problema della cristallizzazione dei sali nelle murature.
Esempi concreti di problematiche riguardanti le lacune sono esposti in S. Alberti, E. Capraro, G. Driussi, Il Tempio della Concordia: il trattamento delle lacune. Integrazioni storiche, storicità delle reintegrazioni, in: Lacune in architettura: aspetti teorici ed operativi, atti del convegno di studi, Bressanone, 1-4 luglio 1997, Arcadia Ricerche, Marghera 1997, pp. 599 – 613. I continui interventi di restauro svoltisi nel tempo hanno lasciato considerevoli quantità di reintegrazioni nel Tempio della Concordia. Questa ricerca individua ed esamina i diversi tipi di reintegrazione rispetto alle caratteristiche formali, la composizione materiale e lo stato di conservazione. Lo studio perviene all’elaborazione di una proposta progettuale in cui la reintegrazione ha anche funzioni strutturali.
Sullo stesso argomento e facente parte della stessa raccolta di atti è il testo di Patrizia Amico, Silvio Manzo, Dieter Mertens e Giorgio Torraca, Il trattamento delle lacune nel tempio di Segesta: la successione storica dei restauri e l'intervento attuale pp. 391-400. La relazione descrive i metodi che sono stati eseguiti in varie epoche, nel corso dei restauri del Tempio di Segesta, per sistemare le lacune esistenti nella struttura antica. Successivamente viene discussa l’impostazione dell’ultimo intervento conservativo la cui filosofia è stata quella di consolidare la situazione esistente, senza pretendere di raggiungere una soluzione definitiva dei problemi. La manutenzione assidua e la continua ricerca delle cause di degrado garantiranno la conservazione del monumento nei tempi lunghi.
Ancora scritto in occasione dello stesso convegno e sullo stesso argomento, ma questa volta riferito a una lacuna urbana, il contributo di Maria Letizia Conforto, Una lacuna urbana nel centro di Roma e le antiche strutture della Cripta Balbi, pp. 187 - 194. In esso viene osservato come la relazione tra architettura e archeologia rappresenta uno dei più interessanti temi di progettazione urbana. Ciò è evidente in una città come Roma dove i resti archeologici sono intimamente legati sia alla consistenza materiale della città, che alla sua storia.
Mentre la sistemazione dei parchi archeologici richiede un’ampia strategia politica, quella dei siti archeologici a piccola scala, inseriti tra gli edifici urbani, rappresenta un problema di immediate necessità e pubblico decoro. La Cripta Balbi, al centro di Roma, apre un doppio problema, dovendo essere considerata sia come un sito archeologico, che come un vuoto urbano in uno stato di grave decadenza.
Può definirsi essenzialmente conservativo l’intervento descritto in Raffaele D’Andria, Tra “permanenza” e “mutazione” : il restauro delle Terme di Velia, in : Boriani Maurizio (a cura di), Patrimonio archeologico, progetto architettonico e urbano, Politecnico di Milano. Facoltà di architettura. Alinea, Firenze 1997, pp. 115-117. Il testo descrive innanzitutto il monumento, la sua conformazione e i suoi ambienti, poi passa all’illustrazione dell’intervento di restauro. Dopo aver effettuato un attento rilievo fotogrammetrico si è proceduto alle reintegrazioni con gli stessi materiali delle parti originarie, avendo cura di differenziare le parti aggiunte con un leggero sottosquadro. Le superfici, gli intonaci e i mosaici pavimentali sono stati consolidati con l’uso di silicato d’etile. Per consentire la visita in parti non calpestabili a causa della presenza dei mosaici sono state realizzate passerelle sospese su appoggi che non interferiscono con le superfici musive.
Il recupero del Museo Nazionale Romano rappresenta uno dei più importanti lavori che la Soprintendenza Archeologica di Roma ha eseguito. Ne parla Giovanni Bulian nell’aticolo,  Roma - Museo Nazionale Romano - Terme di Diocleziano, il Chiostro “di Michelangelo” nella Certosa di Santa Maria degli Angeli, in: Guido Biscontin(a cura di); Guido Driussi (a cura di), Progettare i restauri: orientamenti e metodi, indagini e materiali, atti del convegno di studi, Bressanone, 30 giugno - 3 luglio 1998. Arcadia Ricerche, Marghera 1998, pp. 261-270. Il Museo coinvolge la gran parte delle strutture ancora esistenti delle Terme di Diocleziano.
Il restauro del Chiostro “di Michelangelo” e degli edifici annessi, progettato molti anni fa, ha mirato innanzitutto al consolidamento delle strutture, poi a rendere idonei gli ambienti a destinazioni d’uso quali gli uffici, i laboratori di restauro, i magazzini.
Prima dell’inizio di ogni lavoro è stata effettuata una ricerca estremamente accurata riguardo agli aspetti storico-critici, ai restauri e alle indagini diagnostiche necessarie per il progetto di restauro.
Gli interventi sono consistiti in:
-          consolidamento delle colonne in travertino,
-          consolidamento di parte delle volte,
-          sistemi di incatenamento estradossali delle volte e delle parti sommitali dei muri adiacenti;
-          consolidamento e restauro delle facciate.
Il piccolo libro, ricco di foto a colori e b/n di Maria Grazia Fiore Cavaliere, Stefano Gizzi e Anna Maria Reggiani (a cura di), Tivoli: il santuario di Ercole Vincitore, Soprintendenza archeologica per il Lazio. Roma. Electa, Milano, 1998, descrive le origini, la storia, i significati e le trasformazioni avvenute nel tempo, di questo grande complesso architettonico sul quale insistono attualmente molte stratificazioni e che necessita, per un suo riuso e un suo rilancio, di un attento intervento di recupero complessivo.
Vengono illustrate tutte le fasi attraversate dal monumento, dalle origini romane, alle recenti utilizzazioni del complesso a fini industriali nel secondo dopoguerra, fino ai restauri attuali.
Passando alla Spagna, Ricardo Mar, Estanislao Roca e Arcadi Abellò, nell’articolo, corredato di foto a colori e disegni di progetto, La recuperaciòn del circo romano de Tarragona, in: “Loggia”, anno 2, n. 6, 1998, pp. 70-79, descrivono il recupero del grande Circo romano (300 x 90 metri) che si trova nel centro storico di Terragona e sul quale si è stratificata nei secoli una parte della città. Questa operazione di valorizzazione è un’opera ambiziosa di archeologia ma anche di restauro architettonico e urbanistico che mira all’inserimento del sito nell’elenco dei Monumenti dell’Umanità.
Oltre a consistenti scavi archeologici sono stati necessari attenti interventi di restauro ed accordi con  i privati in delicate situazioni di convivenza tra il monumento e gli edifici  che lo sovrastavano. Si è intervenuto identificando tre situazioni: quelle in cui il monumento era musealizabile, quelle in cui si poteva operare energicamente con opere di restauro ed, infine, quelle dove era preferibile l’integrazione tra i resti con altri tipi di attività urbane, mantenendo intatta l’edificazione moderna.
Aspetti metodologici –strutturali sono esposti nel testo: Giorgio Croci, Alberto Viskovic, The pyramid of Chepren, the Colosseum and the temples of Angkor: diagnosis and safety evaluation in: AA.VV. The use of and need for preservation standards in architectural conservation, atti del convegno del American Society for Testing and Materials (ASTM) Atlanta, United States, 18-19 April 1998, ASTM, West Conshohocken PA 1999, pp. 189-201. In esso viene illustrato come la conservazione, il consolidamento ed il restauro del patrimonio architettonico richieda, prima di tutto, una piena comprensione del comportamento strutturale, delle caratteristiche materiali e delle cause di danno e degrado. Solo in questo modo possono essere valutati i livelli di sicurezza e decisi i rimedi relativi.
Nel testo sono descritti tre esempi – la Piramide di Cheprhen in Egitto, il Colosseo ed i templi di Angkor in Cambogia - e si dimostra come sarebbe difficile comprendere il loro comportamento strutturale se si usassero solamente metodi matematici tradizionali, prescindendo dalla ricerca storica e da un’attenta analisi di dettaglio dei monumenti.
Il testo di Elena De Cecco, Il ponte romano di Savignano sul Rubicone (FO), in: Luigi Marino (a cura di), Carla Pietramellara (a cura di), Cinzia Nenci (a cura di), Tecniche edili tradizionali: contributi per la conoscenza e la conservazione del patrimonio archeologico, Alinea, Firenze 1999, pp. 116-117, ripercorre tutta la storia del ponte, dalla sua costruzione fino alla distruzione da parte dei Tedeschi in ritirata nel 1944 e la successiva ricostruzione nel 1965, ad opera della Soprintendenza.
Si descrive in dettaglio la struttura, le modifiche più recenti comprendenti in particolare una lastra di cemento armato di 35 cm che si sovrappone alla struttura romana e costituisce supporto ai marciapiedi a sbalzo. Vengono focalizzati infine i fenomeni di degrado e se ne evidenziano le cause.
Il breve contributo di Lucia Gervasini e Giorgio Rosati, La Cisterna Romana del Varignano Vecchio (Le Grazie di Portovenere, La Spezia): restauro integrazione delle volte a botte, in: Luigi Marino (a cura di), Carla Pietramellara (a cura di), Cinzia Nenci (a cura di), Tecniche edili tradizionali: contributi per la conoscenza e la conservazione del patrimonio archeologico, Alinea, Firenze 1999, pp. 45-48, descrive il progetto di restauro di un importante complesso rustico-residenziale ricco di mosaici, con annesse terme ed ambienti per lavorazioni agricole.
Viene data un’accurata descrizione dello stato di fatto nonché degli interventi di restauro e di reintegrazione previsti al fine della musealizzazione del monumento.
Klaus Nohlen nell’articolo The partial reerection of the Temple of Trajan at Pergamon in Turkey: a German Archaeological Institute project, in: “Conservation and management of archaeological sites, Vol. 3, n. 1 e 2, 1999, pp. 91-102, illustra la ricostruzione del Tempio di Traiano, una delle più rilevanti strutture monumentali visibili oggi a Pergamo, basata sul principio dell’anastilosi.
 Il primo compito del gruppo di lavoro, guidato dal German Archaeological Institute è stato il rilievo completo di tutte le parti esistenti: via via che le informazioni relative ai frammenti venivano ritenute sufficienti, i pezzi venivano riuniti e collocati nella posizione originaria. Se necessario, le parti mancanti venivano sostituite da reintegrazioni costituite da pietra artificiale realizzata con polvere di marmo e cemento bianco, materiale chiaramente distinguibile dalla pietra naturale originale. Questa tecnica ricostruttiva, oltre a garantire la migliore conservazione, consente al visitatore di figurarsi l’originario splendore del monumento.
Un esempio di applicazione di malte epossidiche è descritto in Koenraad E.P. Van Balen, Semih Ercan, Teresa C. Patricio, Compatibility and retreatability versus reversibility: a case study at the late Hellenistic nymphaeum of Sagalassos (Turkey), in: The use of and need for preservation standards in architectural conservation, atti del convegno del American Society for Testing and Materials (ASTM) Atlanta, United States, 18-19 April 1998, ASTM, West Conshohocken PA 1999, pp. 105-118. Il contributo illustra gli interventi di consolidamento e ricostruttivi per anastilosi effettuati nel Ninfeo tardo ellenistico. I frammenti originali della struttura ad “U” del Ninfeo trovati negli scavi sono stati riassemblati e reintegrati dove vi erano lacune. In questa opera ricostruttiva sono state usate malte epossidiche e barre in fibra di vetro. Se ne illustrano i risultati.
Mariangela Bellomo e Salvatore D’Agostino, nel testo Escavation, restoration and conservation of archaeological sites – Villa dei Quintili on the Appia Antica in Rome, in C. A. Brebbia, W. Jäger (a cura di), Structural Studies, Repairs and Maintenance of Historical Buildings VI, Advances in architecture series - WIT press, Southampton (UK) 1999, pp. 451 – 460, partono dalla constatazione che, nel passato, la separazione tra la ricerca archeologica e le tecniche di consolidamento ha avuto conseguenze molto negative nel restauro di monumenti antichi in quanto si è proceduto spesso reinterpretando le costruzioni antiche in termini di questione strutturale moderna producendo alterazioni dimostratesi deleterie per la conservazione stessa. Si propongono, in questa relazione, delle linee guida metodologiche d’intervento affinché la collaborazione tra ingegneri ed archeologi sia stretta ed avvenga fin dalle fasi di scavo. Come esempio per l’esposizione delle tecniche e dei criteri è descritto il progetto di restauro della Villa dei Quintili presso la Via Appia Antica (cfr. la Scheda tecnica di intervento relativa).
Ancora su Villa Adriana è il testo di Stefano Gizzi, Per una rilettura della storia dei restauri di Villa Adriana dal 1841 al 1990, in “Bollettino d’arte”, serie VI -1999, n. 109-110, pp. 1–76. In esso viene compiuta un’attenta analisi degli interventi effettuati nella Villa nei vari periodi, visti in relazione alla evoluzione della cultura del restauro.
Dai presidi statici ottocenteschi cosiddetti  di “consolidamento espressivo” ai restauri “manutentivi” del dopoguerra fino al periodo del cemento e delle reintegrazioni irreversibili (anni ’50 e ’60). Si affrontano, inoltre, i problemi relativi alle reintegrazioni, alle anastilosi, agli strappi degli affreschi, ai de-restauri, ai vari lessici del restauro. Viene, in definitiva, tracciato un quadro molto dettagliato della storia di uno dei siti archeologici più importanti del mondo.
Anche nel testo di Roberto Bugini, Luisa Folli, Antonio Sansonetti e Angela Surace, La verifica dell'efficacia degli interventi nei siti archeologici: la salvaguardia delle murature a Castelseprio (Varese), in: La prova del tempo: verifiche degli interventi per la conservatione del costruito, atti del convegno di studi, Bressanone, 27-30 giugno 2000, Arcadia Ricerche, Venezia 2000, pp. 217-226, si illustra l’applicazione di resine epossidiche. Gli edifici di Castelseprio, spesso ridotti a ruderi di pochi metri d’altezza, erano da tempo in uno stato di conservazione molto precario. Infatti, le murature erano costituite da ciottoli lapidei e laterizi con giunti di malta e di calce e sabbia con aggiunta di cocciopesto. Il clima, particolarmente piovoso, favoriva fenomeni di erosione dei giunti di malta; inoltre la vegetazione spontanea aggrediva in più punti le murature. Gli interventi conservativi sono consistiti inizialmente in ricostruzioni più o meno estese con ciottoli e malta; in seguito, si è provveduto alla stesura di sigillature sulle creste dei muri, al fissaggio dei singoli ciottoli, per impedire l’accesso dell’acqua, la disgregazione delle malte ed il crollo dei muri.
Nei primi interventi sono state utilizzate malte di varia composizione, anche cementizie mentre negli interventi successivi sono state usate malte additivate da resine epossidiche o acril-siliconiche; negli interventi più recenti, infine, sono state usate malte di calce e sabbia. In assenza di procedure codificate per la verifica degli interventi si può osservare che gli additivi utilizzati nelle malte hanno, quasi sempre, perso la loro funzionalità col tempo.
Scritto in occasione dello stesso Convegno da Stefano Gizzi, il testo Il controllo dei restauri degli anni ‘Cinquanta in Villa Adriana, pp. 199-216, evidenzia come,  nell’ambito degli interventi realizzati nelle aree archeologiche, particolare rilevanza hanno assunto quelli condotti a Villa Adriana nella decade degli anni ’50, che hanno conferito l’aspetto e la facies attuale ad alcuni dei complessi più noti della villa: il Canopo, il Serapeo, la Sala dei Pilastri Dorici ed il teatro marittimo. Dal controllo delle operazioni del recente passato, quali quelle sopra accennate, risultano manifesti i danni, ad appena cinquant’anni di distanza, per l’impiego - a quell’epoca del tutto coerente con i criteri correnti - di materiali invasivi e poco reversibili come il cemento Portland, il cemento bianco, il cemento armato e le perforazioni occulte. Ciò, sia nei consolidamenti ma anche sulle superfici mosaicate o di copertura nelle ‘creste’ sommitali dei muri.  Questi ultimi, protetti con l’impiego di ‘bauletti’ a base di malte idrauliche, ora per la quasi totalità distaccati.
L’articolo illustra, con numerosi esempi e fotografie, lo stato di conservazione dei manufatti sui quali si è intervenuti nell’arco temporale in questione.
Altro contributo allo stesso Convegno quello di Maria Oteri Annunziata, La prova del tempo e l'inefficacia della cura: trent'anni di sperimentazioni per il consolidamento e la protezione di strutture lapidee in aree archeologiche della Calabria, pp. 11-20; illustra come la durata dei manufatti archeologici sia strettamente correlata al tipo di trattamento a cui vengono sottoposti una volta rinvenuti. In questo studio vengono illustrati esempi concreti riguardo la conservazione di alcuni siti archeologici in Calabria, in particolare con l’utilizzazione di trattamenti superficiali; esempi utili a capire l’efficacia delle varie alternative al fine della manutenzione. Vengono sottolineate le differenze tra i trattamenti tradizionali e quelli che sono frutto di sperimentazioni scientifiche su miscele chimiche. Mentre per i primi l’efficacia è testimoniata dal loro comportamento nei tempi lunghi, per i secondi la durata è testata mediante esperimenti che dovrebbero anticipare il comportamento reale del preparato.
Rivelatasi completamente inefficace la pratica di spalmare la parte superiore delle antiche mura con cemento per impermeabilizzazione, ed essendo in via di abbandono l’uso di sostanze siliconiche o acriliche per consolidare chimicamente le pietre, sembra che la soluzione più opportuna rimanga la protezione mediante tettoie o strutture esterne di copertura.
E’ curato da Fedora Filippi il consistente volume riccamente illustrato, Archeologia e Giubileo, Electa, Napoli 2001, che dà un quadro completo di tutti gli  interventi realizzati dalle tre Soprintendenze Archeologiche (di Roma, per il Lazio, di Ostia e per l’Etruria meridionale) nel periodo 1998-2000 con i fondi stanziati dalla legge del 23 dicembre 1996 n°651. Ogni opera è descritta brevemente, con l’ausilio di disegni ed illustrazioni fotografiche, dai tecnici che l’hanno seguita per conto delle rispettive Soprintendenze. Vengono indicati i soggetti coinvolti: progettisti, direttore dei lavori, restauratori, consulenti, imprese realizzatrici, nonché gli importi delle opere realizzate. L’opera tende a dimostrare la fervida produttività delle Sovrintendenze quando vengano destinate ad esse le opportune risorse.
Particolarmente attento all’ambiente ed alla biocompatibilità il restauro descritto da Alessia Buongiovanni e Tiziana Maglie nell’articolo Un cantiere sperimentale a Fiesole, in: “Progettare, architettura, città, territorio” n. 4, settembre 2002, p. 56-60. Analisi climatiche, dei fattori ambientali, esami di laboratorio dei materiali antichi e studio delle patologie sono le basi di questo intervento sperimentale di restauro archeologico che segue i criteri della bioarchitettura, utilizzando materiali in equilibrio con l’ambiente, propri del luogo, messi in opera con il minimo consumo di energia, non inquinanti ed applicati mediante operazioni reversibili e non invasive. Fondamentale, per l’efficacia di questo tipo di interventi un’assidua manutenzione nel tempo.

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