Criteri progettuali nel restauro e nel recupero architettonico

 

L’intervento di restauro va concepito in ogni sua parte con criteri di integrazione e di integralità; ovvero, analizzando comparativamente tutte le problematiche implicate dall’azione restaurativa in quanto esse si influenzano vicendevolmente. La soluzione progettuale risulterà dal confronto tra i vari aspetti conservativi e di valorizzazione della preesistenza.

Occorre tener presente che l’affinamento progressivo delle tecniche d’intervento che si è avuto negli ultimi decenni impone professionalità disciplinari sempre più specialistiche e ciò porta ad approfondimenti differenziati a seconda della diversa formazione professionale degli operatori incaricati. E’ quindi indispensabile, per la redazione dei progetti di restauro, specialmente per quelli più complessi, un lavoro integrato di più specialisti, opportunamente coordinati ed in continuo e positivo confronto reciproco.

L’analisi accurata dei dati provenienti dalle indagini preliminari, ovvero dalla ricerca storica, dall’indagine sul sito, dai rilievi, dai sondaggi, dalle quantificazioni e modellazioni matematiche, ma anche da quelle che analizzano le esigenze fruitive, di gestione e controllo, economiche ecc., consente la determinazione degli interventi da realizzare.

In particolare, gli interventi di restauro strutturale che di solito sono quelli che impongono opere di maggior impatto diretto sul materiale storico, saranno concepiti in modo da evitare, per quanto possibile, il rischio di danni al monumento, in relazione all’eventualità delle sollecitazioni più gravose per le strutture, ovvero del sisma massimo ipotizzabile.

Si procederà al consolidamento strutturale in modo da garantire, insieme alla stabilità, la valorizzazione dell’edificio in quanto opera architettonica di valore storico, soprattutto laddove gli interventi implichino interventi anche ricostruttivi.

L’intervento sul patrimonio storico è, ovviamente, una operazione di speciale complessità che, pertanto, deve seguire criteri specifici commisurati alla delicatezza dell’oggetto in esame.

Tra le opere da realizzare che si collocano in ambito storico, e soprattutto archeologico, possiamo distinguere quelle realizzate a contatto diretto con la muratura e, più in generale, con parti originali, che in qualche modo entrano in stretta relazione con il manufatto e quelle di contorno la cui relazione con la materialità delle parti antiche è meno diretta.

Le prime sono quelle che più rigorosamente devono rispondere ai precisi criteri di compatibilità che qui andiamo ad esporre.

Fanno parte di tale categoria tutti i tipi di reintegrazione, gli incatenamenti, le iniezioni, i cuci-scuci, i contrafforti; ma anche le anastilosi e le ricostruzioni consolidative, le sottofondazioni, ecc.

Vediamo dunque quali sono i criteri principali che devono guidare un corretto restauro o comunque una progettazione in presenza di valori storico-ambientali.

- Cura delle relazioni con il contesto fisico

Il modo in cui l'edificio si inserisce nel suo intorno è di fondamentale importanza per la sua fruizione sia formale che funzionale nonché, in definitiva, per la sua corretta comprensione. Un progetto di recupero o di restauro non può, pertanto, prescindere da come l'edificio viene percepito e si fruisce dal contesto fisico in cui si trova e, viceversa da come, dall'edificio stesso si colgono le relazioni con il contesto circostante.

- Cura nel recupero dei significati e delle relazioni col contesto antropologico

Non meno importanti sono gli aspetti immateriali, psicologici e simbolici di cui l'edilizia storica si è caricata nel tempo. Cosa è significato e cosa significa per una comunità quell'edificio? Quali memorie della vita del passato sono legate ad esso? Quali valori simbolici del monumento nel suo territorio lo hanno lo investito nel tempo? Queste valenze, spesso sottovalutate o addirittura ignorate, devono essere attentamente riconosciute e considerate se si vuole che il progetto colga tutte le opportunità, per la valorizzazione del bene.

- Riconoscimento, salvaguardia e valorizzazione dei caratteri specifici e di unicità dell'edificio storico su cui si interviene

Ogni edificio storico possiede caratteristiche specifiche che lo rendono unico e che, pertanto, ne definiscono l'identità. Tali singolarità possono essere di vario tipo: la sua collocazione nel territorio o nel tessuto urbano, la presenza di soluzioni tipologiche, tecnologiche o strutturali atipiche, la presenza di decorazioni, affreschi o elementi scultorei; il palinsesto delle proprie stratificazioni storiche, le tracce sulle murature di eventi di particolare rilevanza; il particolare significato che ha assunto quell'edificio per la comunità locale, ecc.

Anche tali specifici elementi vanno identificati e colti affinché il progetto di restauro si possa confrontare con essi conseguendo una loro conferma e valorizzazione.

- Destinazione d'uso compatibile

L'uso del bene architettonico ne garantisce la manutenzione e quindi la lunga durata. Risulta dunque importante poter dare all'edificio una destinazione d'uso funzionale e ad esso consona. Ovviamente tanto più la funzione di progetto sarà vicina a quella originale e tanto meno gli interventi dovranno essere trasformativi. Ciò avviene con relativa facilità quando si interviene su edifici pubblici; la cosa si complica, invece, per gli edifici privati ove tali operazioni di recupero sono effettuate spesso a scopi speculativi e, dunque, le destinazioni obbediscono in primo luogo a ragioni di profitto e a valutazioni mercato.

Le aggiunte di partizioni interne per la creazione, ad esempio, di ambienti piccoli per i servizi, che negli edifici storici sono spesso assenti o carenti, sono da limitare a quelle realmente necessarie, utilizzando, ove possibile, piccoli anditi già esistenti al fine di preservare le spazialità interne più significative.

L’adeguamento dell’edificio alla nuova destinazione d’uso dovrebbe intendersi come una naturale evoluzione dell’organismo attuale, facendo in modo che le trasformazioni e le aggiunte non compromettano future, ulteriori evoluzioni.

La capacità dell’organismo edilizio di vivere nel tempo, accompagnato dalle modifiche e le trasformazioni che da sempre il costruito storico ha avuto nel passato, può essere assecondata. Ciò può avvenire giungendo alla consapevolezza del significato, del carattere, della logica funzionale oltre che formale di ogni porzione del manufatto e potendo in tal modo intervenire, con coerenza e delicatezza, senza alterare e semmai rendendo più leggibili i valori identitari dell'organismo architettonico

- Uso di materiali e tecnologie originali

L’uso delle tecniche originali rilevate nel monumento stesso, oltre ad assicurare la compatibilità chimico-fisica dei materiali utilizzati, garantisce la conservazione di informazioni riguardanti le modalità costruttive originali, evitando anche il rischio reale di una loro scomparsa[1]. Si tratta, inoltre, delle tecniche che offrono il migliore effetto di continuità formale oltre che funzionale con le parti antiche[2].

E’ evidente come la loro corretta riproposizione derivi da un precedente, attento lavoro di rilievo e comprensione delle parti esistenti dell’edificio, nonché di strutture antiche analoghe. Tale lavoro conoscitivo rientra, infatti, nelle indispensabili fasi preliminari.

- Ripristino o conservazione del comportamento statico originario

Conservare un edificio storico significa preservarlo in tutti i suoi vari aspetti. Quello strutturale fa parte, a tutti gli effetti, del monumento e del suo valore storico, peraltro in modo tutt'altro che secondario e concorre a determinarne l’identità materiale e culturale. Stravolgere questa componente, sia pure con mezzi destinati a rimanere occulti, come molto spesso si è fatto, persino talora, come abbiamo visto, incoraggiati dalle carte del restauro, equivale a mutilare l’opera di uno dei suoi valori importanti.

Inoltre, conservare o ripristinare il comportamento strutturale di un monumento significa garantirsi dall’eventualità di pericolosi e talvolta incontrollabili effetti collaterali, dovuti a una diversa distribuzione delle sollecitazioni sia statiche che dinamiche nelle murature, sia fuori terra che nelle fondazioni.

Trasformare una parete costituita da pietre assemblate con malta di calce in un blocco monolitico mediante iniezioni di malta di cemento, come spesso si è fatto, potrebbe rivelarsi un errore anche grave, in caso di sollecitazioni dinamiche quali possono essere quelle di un sisma. Anche perché spesso si vanno ad irrigidire singole parti della struttura muraria e non l'intero organismo strutturale. Ciò porta a problemi di distacco ai margini della parte con rigidità diversa, in caso di sollecitazioni dinamiche. Così pure – ed è una pratica tuttora largamente in uso –può rivelarsi controproducente, anche ai fini della stabilità, andare a turbare il comportamento statico di una volta che, per sua natura, ‘lavora’ a compressione, sovrapponendo ad essa la cosiddetta ‘cappa’ in cemento armato, alla quale ‘appendere’, tramite imperniature, la volta stessa. Eseguire operazioni di questo tipo, con la frequenza e deprecabile consuetudine con cui si eseguono ancora oggi ovunque in gran copia, significa considerare come poco affidabile la concezione stessa delle strutture voltate, ignorando, con ciò, millenni di storia dell’architettura che dimostrano, al contrario, la loro formidabile solidità, condizionata quasi esclusivamente dalla stabilità del piedritto. Senza considerare che tali sconsigliabili ‘cappe’, che snaturano il senso ed il comportamento delle strutture voltate, si rivelano anche irreversibili e introducono elementi di elevata rigidità, sempre dannosi in caso di sollecitazioni dinamiche in strutture murarie.

In generale, si riscontra troppo spesso, presso gli operatori professionali del settore, una sfiducia di base nella solidità delle strutture tradizionali derivante da una prevalente cultura strutturale basata sui sistemi intelaiati in cemento armato o acciaio e quindi non pienamente consapevole delle potenzialità dei sistemi murari. Sfiducia che costituisce un'inaccettabile carenza nella formazione culturale e professionale dei tecnici.

- Compatibilità chimica

Tutti i materiali usati, a contatto con quelli della costruzione originaria, non devono in alcun modo costituire potenziale danno di tipo chimico alla materia originale, né al momento della messa in opera, né in tempi successivi. Rischi si determinano quando possono innescarsi fenomeni reattivi che causano fuoriuscita di sali, impoverimento della capacità coesiva della malta o indebolimento dell’inerte, formazione di macchie, fenomeni ossidativi dei rinforzi, ecc. Queste eventualità, oltre che determinare gravi alterazioni estetiche, accelerano notevolmente il degrado dei materiali, limitandone la durata. Inoltre intervenire per risolverli, una volta verificatisi, risulta spesso assai difficoltoso ed i danni che possono presentarsi sono, quasi sempre, irreversibili.

Eclatante è l’esempio del degrado causato dall’uso del cemento armato, nei restauri del passato sia per l’emissione dei sali del cemento, sia per i fenomeni ossidativi delle armature in esso contenute che, con il loro conseguente e inevitabile aumento di volume, sono causa di gravi disgregazioni.

- Compatibilità fisica

Sono da evitare situazioni che, turbando l’equilibrio originario delle condizioni fisiche del manufatto, possano incrementare i fenomeni di degrado. In particolare ci si riferisce alle condizioni di traspirazione delle superfici, di umidità, di temperatura e alle conseguenti dilatazioni termiche, ma anche a condizioni di esposizione alle correnti d’aria, alle piogge, al gelo, al sole.

Esistono, ad esempio, trattamenti a base di impregnanti sintetici della pietra a bassa traspirabilità, molto in uso negli anni ’70 e ’80, in quanto ritenuti utili per la protezione delle superfici litiche. Essi hanno comportato, però, il pernicioso effetto di impedire il passaggio e la dispersione dell’umidità interna verso l’esterno, causando fenomeni disgregativi, talora devastanti, della superficie della pietra stessa. Un altro esempio negativo è la collocazione di incatenamenti in acciaio esposti all’irraggiamento solare. Essi, infatti, con i quotidiani sbalzi termici e le conseguenti dilatazioni e contrazioni, possono originare problemi disgregativi anche rilevanti con effettivi rischi per la stabilità.

- Reversibilità

Qualsiasi operazione eseguita sul manufatto storico, la cui materialità deve essere garantita nel suo prevalente valore documentario, deve essere quanto più possibile reversibile; ovvero, deve incidere trasformativamente in modo minimo e non illimitato nel tempo sul materiale originale. In questo modo, l'eventuale rimozione per necessità sopravvenuta di un intervento, magari per sostituirlo con soluzioni più efficienti, risulterà sempre possibile, senza aver arrecato alcun danno al costruito storico.

La reversibilità consente, ad esempio, di rinnovare periodicamente, per un numero illimitato di volte, un rinforzo statico anche importante quale può essere un incatenamento; presidio, quest'ultimo, che anche per tale motivo risulta generalmente raccomandabile. Particolarmente reversibili possono essere, inoltre, le strutture sovrapposte o addossate alle parti originali. I contrafforti in muratura, ad esempio, fatti salvi alcuni ammorsamenti per garantire l’aderenza reciproca del sostegno alla parte sostenuta, e compatibilmente con l’inevitabile incidenza a livello d’immagine, che va risolta in sede di progetto architettonico, sono esempi di elementi murari ad alta reversibilità.

La reversibilità, in definitiva, consentendo la sostituibilità e quindi la manutenzione straordinaria, favorisce la durabilità.

- Minimo intervento

Tutti gli interventi devono essere calibrati in relazione alle effettive necessità funzionali, estetiche ma anche in funzione delle legittime aspettative culturali e sociali che si hanno rispetto all'azione restaurativa. In particolare, i consolidamenti che costituiscono gli interventi di maggiore impatto diretto, vanno dimensionati con ogni cura, commisurandoli ai potenziali, effettivi rischi; vanno altresì attentamente quantificati e progettati mettendo in conto, senza sottostime, spesso ingiustificate, l’effettiva capacità portante residua delle strutture originali. Questa è valutabile solo avendo raggiunto, ancora una volta, una profonda conoscenza della consistenza fisica, strutturale, tecnologica del monumento stesso, con l’ausilio anche di considerazioni comparative rispetto ad altre strutture analoghe. Tale criterio parte dalla considerazione che pressoché qualsiasi intervento, anche il più delicato, determini, comunque, un’interazione con le parti originali. E’ pertanto un errore realizzare opere di qualsiasi genere non effettivamente necessarie le quali, se non apportano vantaggi verificabili e dimostrati, sono inevitabilmente apportatrici, prevedibilmente o no, di effetti collaterali negativi.

Un approfondimento delle indagini preliminari volte alla comprensione del reale comportamento statico di un edificio, della sua consistenza fisica e quindi della sua stabilità residua, può dunque ridurre notevolmente gli interventi da realizzare, fino ad arrivare, non di rado, alla conclusione che essi non siano affatto necessari[3]. Questa scelta progettuale, se talvolta risulta ottimale per la conservazione del monumento, della sua immagine, della sua materialità, può per vari motivi, risultare non conveniente per il progettista e, ancor meno, per l’impresa esecutrice dei lavori; le loro attese di ritorno economico sono, infatti, proporzionali all’importo dei lavori progettati ed eseguiti. Inoltre, il discostarsi da una prassi spesso pesantemente interventista, pone il progettista di strutture in un ruolo di accentuata responsabilizzazione. Senza contare, inoltre, che gli organi di controllo degli Enti locali, che approvano i progetti, accettano con maggior facilità interventi aderenti alla prassi comune che spesso, purtroppo, risulta essere inappropriata e particolarmente invasiva.

E’ anche per questi motivi che il criterio del minimo intervento, pur sostenuto con validi motivi in sede teorica, stenta ad avere il dovuto seguito nella comune prassi.

- Riconoscibilità

L’uso di tecniche originali, qui auspicato, può però presentare un limite connesso alle possibilità di indurre ad equivoci sulla datazione delle parti di un edificio. Tutti gli interventi di restauro devono, pertanto, essere databili, per evitare confusioni con le parti originali, a tal fine è necessario offrire all’occhio esperto la possibilità di riconoscere le parti di restauro aggiunte rispetto alle parti antiche mediante differenziazioni più o meno artificiosamente procurate od accentuate, che perdurino nel tempo.

Tale esigenza, ovviamente, deve essere contenuta entro i limiti delle esigenze di leggibilità analitica del valore documentario e non essere tale da incidere sull’immagine complessiva della preesistenza.

La misura dell’evidenza di queste segnalazioni informative deve essere dettata dagli obiettivi scientifici e culturali impliciti nell'intervento di restauro; in definitiva, non deve cioè incidere negativamente sul valore architettonico del monumento.

- Leggibilità

L'intervento di restauro deve tendere a facilitare la lettura del documento di storia materiale; deve agevolare la comprensione delle stratificazioni, far capire, per quanto possibile, le fasi di crescita o viceversa la concezione unitaria dell'edificio, anche rispetto ad altri adiacenti; evidenziare il rapporto col contesto e le ragioni delle modifiche avvenute nel tempo, recuperando dove possibile gli aspetti funzionali storici o, almeno, suggerendoli.

L'eliminazione di superfetazioni recenti e incongrue è sicuramente un modo per recuperare la leggibilità del documento storico, mentre i volumi nuovi, eventualmente necessari per motivi funzionali, devono evidenziarsi con chiarezza come parti aggiunte. Ciò può avvenire con vari espedienti formali come differenziazioni linguistiche, del materiale, cromatiche ecc.

Per quanto riguarda l’oggetto archeologico, esso non si presenta al visitatore così come si presentava al momento della sua prima realizzazione. L’immagine che esso avrà dopo l’intervento potrà quindi essere fortemente influenzata dalle scelte del restauratore che non sono affatto scontate o limitate come potrebbe apparire ad una prima analisi. Questo implica anche un problema di linguaggio che deve risolversi in una visione integrale di tutti gli altri aspetti relativi alla conservazione, alla protezione dal degrado, alla stabilità, alla ricerca di una più facile rilettura della conformazione originaria, nonché un recupero dei significati[4].

- Durabilità

Stante il fatto che la durata dei materiali costruttivi storici giunti fino a noi è dell’ordine dei secoli, va tenuto presente che anche la durata delle tecniche e dei materiali che si utilizzano negli interventi di restauro è tenuta a confrontarsi con tali lunghi periodi di tempo. I materiali da usare dovranno quindi essere molto durevoli oppure dovranno essere tali da consentire interventi successivi di manutenzione ordinaria o straordinaria, di provvedere ad un loro rinnovamento senza che ciò comporti alterazioni al monumento stesso. Tipico, in tal senso, per i resti archeologici, è il caso della ‘copertina’ o ‘bauletto’ in cocciopesto, posta a protezione della sommità delle murature rimaste scoperte; essa ha, al massimo, la durata di pochi decenni, ma una riparazione e sostituzione periodica garantisce la sua permanenza in buono stato per secoli, consentendo la protezione duratura della muratura sottostante.

E’ inoltre chiaro, invece, che, l’acciaio non inossidabile, per la sua deperibilità, non può trovare applicazione nel restauro se non in situazioni in cui sia sostituibile periodicamente, con facilità, senza danneggiare il materiale originale. Resta comunque, relativamente al suo uso, il problema delle macchie da ossidazione, pressoché indelebili, molto spesso di impatto visivo particolarmente sgradevole. Per questi motivi sono sempre da preferirsi gli acciai inox o il titanio[5] la cui brillantezza naturale, spesso non adatta in alcuni contesti, può poi essere corretta con adeguate vernici.

Altro materiale utilizzato spesso per interventi strutturali che risulta, però, al momento, di incerta affidabilità da un punto di vista della durata è costituito dalle resine sintetiche, in quanto non ancora sperimentate per tempi lunghi e dimostratesi talvolta particolarmente deperibili, soprattutto se esposte ai raggi solari. Risultano inoltre particolarmente deperibili alle alte temperature in caso di incendio.

- Manutenibilità

Questo criterio, in parte complementare a quello della reversibilità, sollecita una particolare attenzione nel prevedere l’uso di materiali, tecniche e soluzioni progettuali che rendano agevole l’ordinaria e la straordinaria manutenzione dell' edificio. E’ importante, ad esempio, predisporre sistemi che rendano facilmente accessibili elementi che necessitano di una frequente pulizia, di una verniciatura periodica, della messa in trazione o sostituzione nel tempo (catene). Il progetto deve prevedere, inoltre, un programma della manutenzione che indichi con precisione le cadenze periodiche delle attività manutentive.

- Varianti in corso d'opera

Modifiche del progetto in corso d’opera dovrebbero, infine, fare parte integrante del metodo da seguire negli interventi di restauro e recupero in quanto, molto spesso, solo durante la fase del cantiere, con gli scavi, con il montaggio dei ponteggi, con la rimozione degli intonaci recenti o con lo smontaggio di determinate superfetazioni, emergono importanti, nuove informazioni che, anziché essere considerate ostacolo all'attività di cantiere, devono costituire un prezioso arricchimento del progetto ed essere accolte nella definizione delle soluzioni finali per raggiungere i risultati migliori[6].

Tutti questi criteri sono orientati all’obiettivo che si intende perseguire che è quello dell’ottimale conservazione e valorizzazione dell’edificio storico. Essi tengono conto delle istanze derivanti dalla conservazione fisica dell’oggetto nel suo contesto, ma anche dei suoi significati, da opportunità formali ed espressive, delle motivazioni filologiche, nonché dall’esigenza di dover conservare tutte le informazioni contenute in esso.

Buona parte di tali criteri, per trovare corretta applicazione, presuppongono indagini preliminari accurate (rilievo geometrico, tecnologico, strutturale, del degrado, sondaggi, ricerca storica diretta e indiretta[7]) che, pertanto risultano sempre imprescindibili.

Tutti gli interventi, anche e soprattutto quelli che utilizzano tecnologie tradizionali o antiche, devono essere progettati, graficizzati ed esplicati nei minimi particolari. Spesso la loro efficacia dipende proprio dalla buona esecuzione di dettaglio e, purtroppo, non sempre si può contare sull’esperienza delle manovalanze non più aduse alle pregresse lavorazioni.


[1] «In linea di principio l’intervento strutturale diretto a migliorare la sicurezza di un’opera di interesse storico, o a ridurne la vulnerabilità sismica sarà progettato in modo da non turbare il linguaggio costruttivo e strutturale originale. [...] Nei casi in cui l’intervento è possibile le nuove opere saranno programmate con tecniche analoghe a quelle originali ma non con intento imitativo. Si potranno usare tecniche moderne, cioè impensabili ai tempi della costruzione, solo se se ne dimostra la necessità e l’opportunità». Cfr. A. Giuffrè, Monumenti e terremoti; aspetti statici del restauro, Multigrafica, Roma 1988, p. 34.

[2] [Bisogna usare le tecnologie analoghe alle originali] "senza integralistiche esclusioni per i materiali e le tecniche contemporanee - anche recentissime - dove usate correttamente. Quello che in definitiva si rifiuta è la pratica del progetto e del cantiere come luoghi dell'applicazione acritica di modelli di calcolo, tecniche e materiali prelevati frettolosamente dal mercato. Quello che si afferma, sono il progetto ed il cantiere (di restauro) come luogo di applicazione dell'intelligenza sia all'analisi dello stato di fatto che alla pratica realizzativa." cfr. F. Giovannetti in: G. Cangi, Manuale del recupero strutturale antisismico, Dei, Roma 2005, pag. 10.

[3] Cfr. nota 7 del par. 2.3.1.

[4] Sulla questione di come facilitare la leggibilità architettonica di un monumento archeologico intervenendo per la sua conservazione, cfr. G. Manieri Elia, Material conservation and legibility: the double aim of structural intervention in archeology in: AA.VV. More than two thousand years in the history of structures and architecture, atti del Convegno International Millennium Congress, ICOMOS, Parigi 2001.

[5] Il titanio trova applicazione solo quando risulta necessario un materiale particolarmente stabile alle escursioni termiche come, ad esempio, per collocazioni in prossimità di superfici murarie assolate. Il suo costo, rispetto all’acciaio inox è infatti maggiore e le resistenza inferiore.

[6] Purtroppo questa possibilità è negata o, quantomeno fortemente limitata dalle attuali leggi sui Lavori Pubblici che, sia pur comprensibili nel loro originario intento, riconoscono agli interventi di recupero solo insufficienti possibilità di varianti in corso d’opera.

[7] cfr. par. 2.1